Gwangju, 1980: La Primavera della Democrazia

di Claudia Zangari

La lotta per la democrazia coreana ha avuto inizio a Gwangju, una città metropolitana situata nella provincia del Jeolla meridionale, a sud-est del “paese del calmo mattino”. La città di Gwangju è storicamente importante per essere stata la capitale del regno di Paekche (18 a.C. – 660 d.C.) durante il periodo dei Tre Regni, un periodo storico che secondo la datazione tradizionale si estende dal 57 a.C. al 668 d.C.

Ma Gwangju oggi è forse più famosa per essere stata la città ospitante dei Mondiali di Nuoto nel 2019 ed è soprattutto nota tra i tanti fan del K-pop per essere la città natale di J-hope, membro della boy-band sudcoreana dei BTS. Tuttavia, Gwangju è anche il trampolino di lancio del processo di democratizzazione della Corea del Sud, culminato nel 1987 con l’elezione di Roh Tae-woo, il primo presidente eletto attraverso elezioni democratiche. Quello che è successo a Gwangju nella primavera del 1980 rappresenta la lotta di un popolo per la libertà, la costruzione di una comunità unita da ideali e principi, e dalla volontà di cambiare il futuro di un paese soffocato da decenni di regimi militari.

Fotografia di Claudia Zangari. “Movimenti del 18 maggio”.

Ma cosa accadde a Gwangju in quel maggio del 1980? Per comprendere appieno ciò che portò allo scoppio del movimento di democratizzazione bisogna ricostruire la storia partendo da un altro evento avvenuto qualche mese prima, ovvero il 26 dicembre del 1979, data in cui la cosiddetta winter Republic del dittatore Park Chung-hee giunse a termine con l’uccisione di quest’ultimo per mano di Kim Jae-Kyu, direttore dell’Agenzia Nazionale di Intelligence Sud Coreana (KCIA). La morte di Park Chung- hee, personaggio tutt’oggi controverso, alimentò l’ottimismo del popolo, illudendolo con la sua morte, di aver finalmente trovato la libertà. Tuttavia, non passò molto tempo prima che quell’illusione venne sopraffatta da una realtà ben diversa, una realtà in cui la penisola era nuovamente soggetta al regime militare. Invero, il 12 dicembre 1979, Chun Doo-hwan, come un abile manovriero, tirò le fila per un colpo di stato. Bastarono poche ore per realizzare quello che, qualche mese dopo, portò a uno dei più feroci e sanguinolenti massacri della storia contemporanea. Per denunciare il colpo di stato, a partire dal 14 maggio 1980, gli studenti universitari provenienti da tutto il paese scesero in piazza dando il via a diverse manifestazioni di protesta contro il governo appena istituito. A Gwangju il centro intorno cui ruotavano le manifestazioni era l’Università Nazionale di Chonnam, le cui proteste non differivano da quelle che contemporaneamente avevano luogo a Seoul. Tuttavia, ben presto la situazione cambiò e il 17 maggio 1980 il regime militare dichiarò la legge marziale per sopprimere tutte le manifestazioni in corso. Quello che successe a Gwangju tra il 18 e il 27 maggio è destinato a cambiare i meccanismi, ormai quasi del tutto logori, del sistema politico sottostante. A partite dal 18 maggio, i cittadini di Gwangju diedero inizio a comizi volontari a cui presero parte non solo studenti ma anche lavoratori, persone appartenenti a diversi status che si unirono per manifestare contro il regime. Tuttavia, fu proprio da quel giorno che la situazione si evolse rapidamente divenendo scenario di un film dell’orrore. Il governo ricorse all’uso delle forze armate per mettere a tacere le rivolte. Il 21 maggio, l’esercito entrò una prima volta in città aprendo il fuoco indiscrinatamente sulla folla e la isolò totalmente dall’esterno. L’esercito entrò nuovamente in città il 27 maggio, trasformandola in un fiume di sangue. Fu così che la rivolta giunse al termine.

Subito dopo la fine della rivolta di Gwangju, il regime di Chun Doo-hwan la etichettò come l’iniziativa di un gruppo di rivoltosi, provvedendo a un risarcimento monetario alle vittime e le loro famiglie ad eccezione di coloro ritenuti responsabili della rivolta: in altre parole, il governo cercò di nascondere il massacro e di alterare la storia nascondendo la verità. Solo nel 1988, cioè dopo la democratizzazione della Corea del Sud, la popolazione poté finalmente chiedere la verità sugli eventi accaduti in quella primavera del 1980 a Gwangju e chiedere che i responsabili venissero condannati. Il primo governo democraticamente eletto della Corea, il governo di Roh Tae-woo, affrontò la questione Gwangju, individuando quella rivolta come il punto di partenza del processo di democratizzazione della Corea del Sud e ribattezzandola come “Movimento di Democratizzazione del 18 Maggio della Città di Gwangju” (Gwangju minjuhwa undong, 광주 민주화 운동). È importante però ricordare che Roh Tae-woo fu in realtà uno dei responsabili del massacro. Venne infatti istituita una commissione speciale per indagare sulla rivolta, che venne presto sospesa, incapace di dare giustizia alle vittime. Ciò nonostante, l’assemblea nazionale approvò un disegno di legge che consentì il risarcimento per le vittime del massacro. Infine, una nuova svolta vi fu sotto il governo di Kim Young-Sam nel 1993, il quale promise di “ratificare la storia” (yeoksa baroseugi, 역사 바로세우기). Con l’avvicinarsi del periodo di limitazione per i crimini avvenuti a Gwangju nel dicembre 1995 e sotto la crescente pressione pubblica, il governo approvò due dei più importanti atti sul caso presi fino a quel momento: la “Legge Speciale sul Movimento di Democratizzazione di Maggio” e la “Legge Speciale sulle Limitazioni Legali per i Reati di Ordine Costituzionale”. Il primo consentiva di punire gli autori del massacro, mentre il secondo aboliva lo statuto di prescrizione per i crimini anticostituzionali. La verità venne finalmente fuori e la storia finalmente corretta.

Il massacro di Gwangju è oggi considerato come uno dei grandi sacrifici nel nome della democrazia, ma tutt’ora vi è un punto interrogativo che attanaglia studiosi e non: il ruolo che gli Stati Uniti hanno avuto nel massacro. Esistono infatti alcuni documenti che dimostrano che il comandante delle forze degli Stati Uniti in Corea dell’epoca, John Wickham, approvò l’invio della ventesima divisione a Gwangju, implicando di conseguenza il coinvolgimento delle forze statunitensi nel massacro. Da un lato, l’ambasciatore americano nella Repubblica di Corea all’epoca, William H. Gleysteen, giustificò il dispaccio della divisione statunitense, sottolineando che si trattava di un contingente di legge marziale, ben addestrato ad evitare inutili perdite e, pertanto, considerandolo appropriato alla situazione. Inoltre, secondo quanto dichiarato dai funzionari statunitensi, le truppe americane non avevano alcuna effettiva conoscenza della portata e dell’estensione della coercizione usata dall’esercito coreano sulla popolazione di Gwangju e che le forze statunitensi non avevano alcuna autorità formale sulle decisioni. Dall’altra parte, invece, la partecipazione statunitense al massacro è stata considerata da molti coreani come il tacito consenso alle misure cruente ed estreme autorizzate da Chun Doo Hwan per sopprimere le rivolte e, di conseguenza, anche come il riconoscimento da parte degli Stati Uniti del regime. Questa posizione è stata ulteriormente rafforzata dalle dichiarazioni delle forze statunitensi che dimostrano di come fossero chiaramente consapevoli della situazione sostenendo l’intervento militare. Qualunque fosse stato il ruolo degli Stati Uniti, la sua partecipazione conscia o non, ha contribuito a cristallizzare il sentimento anti-americano del popolo coreano. Unendosi all’oppressore, e più tardi, sostenendo il regime militare di Chun Doo-hwan, gli Stati Uniti, d’altro canto, hanno dimostrato incoerenza con le dichiarazioni sostenute.

Fotografia di Claudia Zangari. “Movimenti del 18 maggio”.

Il massacro di Gwangju ha anche un retrogusto dolce. Difatti, la comunità nata intorno alla rivolta di Gwangju ha mostrato come l’individuo e il gruppo si siano fusi diventando parte di una singola entità. In particolare modo, dopo il 20 maggio, i cittadini di Gwangju contribuirono alla causa in svariati modi, dalla distribuzione dei viveri alla diffusione di volantini alle province limitrofe, per denunciare ciò che stava accadendo all’interno della città. La comunità nata intorno alla rivolta è una “comunità assoluta” (Choi, 1999, p. 262) poiché il senso di comunità non è stato costruito intorno alla figura di un leader ma da persone unite in nome della dignità umana, perché la vita stessa era sull’orlo della distruzione. La lotta del popolo per la democrazia finì per diventare il trampolino di lancio della democratizzazione del 1987. Tuttavia, è importante sottolineare che è stato proprio quel senso della comunità, nato intorno a quegli eventi, a renderlo possibile: da professori universitari a semplici tassisti, persone appartenenti a qualsiasi status sociale, lottarono all’unisono, come i pezzi di un puzzle.

Bibliografia

  • Choi, J. (1999). The Kwangju People’s Uprising: Formation of the “Absolute Community”. Korea Journal, 39(2), 238-282.
  • Han, I.S. (2005). Kwangju and beyond: Coping with past State Atrocities in South Korea. Human Rights Quarterly, [online] 27(3), pp.998–1045. [consultato il 2 agosto 2021]. Disponbile da: https://www.jstor.org/stable/20069818
  • Jong-cheol, A. (2002). The significance of settling the past of the December 12 Coup and the May 18 Gwangju Uprising. Korea Journal, 42(3), 112-138.
  • Lee, C.-S. (1981). South Korea in 1980: The Emergence of a New Authoritarian Order. Asian Survey, 21(1), pp.125–143.
  • Lee, S. (1988). KWANGJU AND AMERICA IN PERSPECTIVE. Asian Perspective, [online] 12(2), pp.69–121. [consultato il 2 agosto 2021]. Disponibile da: https://www.jstor.org/stable/42703919
  • Shin, G.-W. and Izatt, H.J. (2011). Anti-American and Anti-Alliance Sentiments in South Korea. Asian Survey, 51(6), pp.1113–1133.
  • Shorrock, T. (1986). The Struggle for Democracy in South Korea in the 1980s and the Rise of Anti-Americanism. Third World Quarterly, [online] 8(4), pp.1195–1218. [consultato il 29 luglio 2021]. Disponibile da: https://www.jstor.org/stable/3991711

Sitografia

copertina: “May 18th National Cemetery – Gwangju, South Korea” by acase1968 is licensed under CC BY-NC-ND 2.0

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