di Grazia Milano
“(…)essere fatto di materiale inesistente: questa è la mia nulla forza speciale.
Non ho bisogno che mi venga detto di perdonare.
Non ho bisogno di essere perdonato.”
-Hwang Ji U, Mirror 2
Essere giudicati coreani è sufficiente ad essere coreani? Fermarsi a pensare ciò nel XX secolo coreano significa sprofondare nell’abisso della consapevolezza che l’identità personale e collettiva è inesistente; al più, esistono frammenti identitari illusoriamente tenuti assieme da pedisseque dinamiche di massa. A suggerire questa realtà è una delle voci più significative della letteratura coreana moderna, quella dello scrittore sudcoreano Hwang Ji U (1952 -). La realtà in cui il poeta cresce è caratterizzata dalla legge marziale, dalla censura e dalla limitata libertà di espressione, dalla occasionale repressione violenta delle rivolte studentesche e dalle grandi problematiche sociali ed economiche che caratterizzarono la Corea del Sud nel dopoguerra. Ma soprattutto, Hwang vive nel periodo in cui si consolida in Corea del Sud l’idea che la coreanità è definita dal giudizio sociale: tutti giudicano tutti sulla base di stilemi imposti dalla politica e determina cosa è giusto e cosa è sbagliato in Corea del Sud, cosa si può e cosa non si deve essere, chi è coreano e chi no.
Il senso di impotenza, di sfiducia, di alienazione e di rabbia hanno portato Hwang Ji U a sviluppare una poetica d’impatto caratterizzata dalla satira disincantata e dall’uso di un linguaggio visivo e fonetico non dissimili dalle trovate surrealiste di Yi Sang1 . Se l’uomo è vincolato all’uso di un linguaggio conforme alle regole sociali, allora deve essere la poesia – afferma il poeta – a parlare scevra da limiti e pudicizie per trasmettere il vero sociale, politico e personale. Questo “vero” non è altro che la consapevolezza che “la vita è diventata frammentata”2 e che la società è vittima della comunicazione di massa: essa definisce sudcoreano chi risponde alle caratteristiche del modello politico di sudcoreano fatto di tanti elementi ma nessuna vera voce.
In questo articolo si vuole presentare molto brevemente al lettore la poetica di Hwang Ji U sicché possa essere evidente come essa sia più che mai attuale in un mondo in cui sempre più elementi definiscono l’individuo modello e sempre più il giudizio è chiamato a sentenziare sulla nostra capacità di essere.
I Bellissimi Occhi Marroni del Meticcio e Variety Show, 1984
똥개의 아름다운 갈색 눈동자 (…) 우리나라 봄하늘같이 보도랍고 묽은, 똥개의 그 천진난만 – 천진무후한 角膜→水晶體→網膜 속에, 노란 봉투 하나 들고 서 있는, LONDON FOG表 ポリエステル 100% 바바리 차림의, 나의 全身이 나의 全貌가, 나의 全生涯가 들어가 있다. 그 똥개의 角膜→水晶體→網膜 속의 나의 이 全身, 이 全貌, 이 全生涯의 바깥, 어디선가, 언젠가 우리가 꼭 한 번 만났었던 생각도 들고, 그렇지 않았던 것도 같고 긴가민가 하는데 그 똥개, 쓰레기통 뒤지러 가고 나, 버스타러 핑 가고, 전봇대에 ←田氏喪家, 시온 장의사, 전화 999-1984. | I Bellissimi Occhi Marroni del Meticcio (…) Morbida e chiara come i cieli della nostra campagna questa cornea innocente e candida del meticcio-cristallina a forma di una lenticchia – questa cornea, in piedi con una busta gialla in mano, vestito con un trench marca LONDON FOG 100% poliestere3 il mio intero corpo, il mio intero viso, la mia intera vita in piedi lì contenuta. Nella cornea di questo meticcio- cristallina dalla forma di una lenticchia – in questa cornea, questo mio intero corpo, questo mio intero viso, questa mia intera vita, il loro esterno, da qualche parte ad un certo punto, mi viene in mente che dobbiamo esserci incontrati prima, ma forse no forse sì forse io penso, quando questo meticcio, va via in cerca di spazzatura ed io, whoosh, per prendere l’autobus, sul palo elettrico – Residenza per Funerali del Sig.Chun – Stanza di ricevimento funerario Sion, numero di telefono 999-19844. |

Ne I Bellissimi Occhi Marroni del Meticcio è evidente la poetica della decostruzione di Hwang anzitutto da un punto di vista estetico dove lo scrittore adopera simultaneamente diversi lingue e sistemi di scrittura: al coreano sono affiancati giapponese, inglese e numeri arabi assieme all’uso di caratteri cinesi. Con ciò, Hwang da un lato contestualizza il poema criticamente nel mondo sudcoreano degli anni ‘80, e dall’altro porta all’attenzione del lettore lo sgretolamento dell’identità nazionale sudcoreana. Dal punto di vista contenutistico, infatti, ciò che si ravvisa è l’idea che i coreani in questo periodo sono preda di una confusione d’identità conseguenza della comunicazione di massa che chiude gli occhi al popolo e inibisce le sue facoltà di pensiero tanto che si rimane incantati dallo sguardo di un cane che permette un momento di riflessione per poi essere di nuovo catapultati nella frenesia. Il lessico è meticolosamente selezionato con parole come “Sion” – parola collegata a svariate religioni provenienti dall’occidente – giustapposta ad uno spazio cerimoniale confuciano. Il rapporto tra la realtà presentata da Hwang e il mondo contemporaneo è evidente se si considera quanto oggi ognuno di noi è parte di una società globale: la nostra identità è plasmata costantemente alle volte consciamente e – forse più spesso – inconsciamente dalla mole di informazioni che continuamente siamo chiamati a registrare grazie a nuovi mezzi di comunicazione. L’invito dell’autore è quello di non dare spazio al torpore nella mente, di fermarci più spesso e valutare criticamente chi siamo.
(…)수퍼마켓 양쪽 벽이 다 거울이다. 한쪽 거울이 다른 쪽 거울을 감시하고 다른 쪽 거울은 감시하는 한쪽 거울을 감시하고 한쪽 거울은 또또 그것을 감시하고 또또또 감시하고……(…) | “(…) Tutte le pareti dei supermercati sono coperte di specchi. Gli specchi da un lato tengono sotto sorveglianza quelli dall’altro lato e gli specchi dell’altro lato tengono gli specchi del primo lato che tengono d’occhio gli specchi dell’altro lato sotto sorveglianza sotto sorveglianza con tutto ciò che viene tenuto sotto sotto sotto sorveglianza e che tiene e che tiene …(…)”5 |
In “Variety Show, 1984” centrale è lo specchio. Esso – o il riflesso più in generale – è un elemento molto utilizzato nella letteratura ogni qual volta si tratta di identità. Hwang ne definisce un significato proprio attribuendogli la caratteristica del giudizio: esso, come la società, tiene d’occhio perennemente l’individuo giudicandolo e condannandolo alla prima anormalità. Lo specchio poi è anche metafora del sé: concretizza l’idea che per essere parte del popolo sudcoreano bisogna comportarsi come gli altri e giudicare a propria volta il prossimo.
Lo specchio inoltre riflette corpi, ma non le voci. Questo porta Hwang a riflettere sulla propria esistenza: egli si chiede se allora, non è forse che la sua persona non esista affatto. La riflessione esistenzialista di Hwang Ji U ben si sposa con il periodo storico in cui vive, in cui l’individuo è ridotto ad un corpo obbediente alle norme di uno stato oppressore, acriticamente conforme al modello sudcoreano: in questo mondo, la personalità di ciascuno è secondaria ed esiste solo nella mente di chi la contempla.
거울 보는 것을 두려워하면서도거울에 자주 나타난다, 내가 재떨이를 찾아 책상까지 갔다가 오면서도 아, 내가 책상까지 갔다 오는구나, 생각한다 책상 모서리에 몸이 스칠 때 아, 내가 아직 여기 있구나 하는 생각, 물로 채워진 어떤 덩어리에 대한 생각: 그리고 가끔 죽은 사람 생각이 들곤 하는데 말끝마다 씨발 하던 채광석이라는 자라든가 구반포 치킨집 부서진 치킨 앞에서 술 취하면 유심초의 ‘사랑이여’를 부드럽게 부르던 김현 선생이라든가 왜 그들의 음성이 떠 있던 그 공간만의 생인가 그들의 목소리, 표정들, 성격은 환영인가 턱 밑 털을 밀기 위해 추어올린 내 얼굴: 비누 거품을 허옇게 쓴 나의 헛것, 이것, 아무것도 아닌데! | Nonostante tema guardare nello specchio mi ci specchio frequentemente. Cercando un posacenere, vado verso la libreria e torno ah, sto andando avanti ed indietro fino alla libreria, penso. Quando il mio corpo sfiora l’angolo della libreria ah, sono ancora qui, penso ad una certa massa piena per lo più di acqua, penso: e a volte penso ai morti, ma che si tratti di Ch’ae Kwangsŏk, che finiva ogni frase con “diamine”, ubriaco di fronte ai polli tagliati della polleria a Kubanp’o o che si tratti del mio mentore Kim Hyŏn, che recitava così dolcemente “Oh, Amore” di Yu Simch’o. Perché la vita è l’unico spazio dove le loro voci riecheggiano alla mia mente? Le loro voci, le loro espressioni, le loro personalità, sono solo illusioni? Il mio viso inclinato così che possa radermi la barba sotto il mento: questo mio vuoto guscio insaponato tutto bianco come la neve, questo guscio, non è niente!6 |
L’invito che possiamo cogliere al giorno d’oggi è quello di soppesare i giudizi nella formazione dell’identità: il giudizio non deve tramutarsi in “sorveglianza”, non deve cioè dimenticarsi che ciascuno di noi ha una voce diversa, che non si esiste per obbedire a delle norme.
In un momento storico come quello attuale in cui la comunicazione di massa plasma inesorabilmente le menti e definisce chi siamo e cosa vogliamo, Hwang Ji U rimane una figura eminente nel panorama letterario, da sempre capace di un’analisi lucida della realtà che non ha mai paura di essere ritenuta amorale o scandalosa, perché sente su di sé il compito di aiutare l’uomo. Il surrealismo o la decostruzione post-moderna non sono espedienti per cercare pubblico, non sono nemmeno stravaganze letterarie, ma sono ciò che esige l’uomo moderno (e contemporaneo): si tratta dell’impatto visivo e contenutistico che sveglia la mente sopita. Verosimilmente la trattazione di un torpore sociale viene affrontata con la speranza di un cambiamento visibile tra le righe di ogni singola lirica.
“(…) Ogni giorno. Ogni notte. Cieca vita sotto cieli di fuoco. (…)”7
Note
- Hwang si serve della stilizzazione della decostruzione fatta di stralci di giornali, insegne, etichette, parti di altre opere, numeri, spartiti.
- Trad. dall’inglese di Sharlyn Rhee, Hwang Ji-U, At the Lush Gardens.
- Nell’originale la marca è scritta in giapponese.
- Trad. dall’inglese di Sharlyn Rhee, in Mundart in Global Modernism: The Poetry and Poetics of Hwang Chiu and Ingeborg Bachmann (University of Chicago, Illinois, Dicembre 2003) p.54.
- Trad. dall’ingelse di David McCann, The Columbia Anthology od Modern Korean Poetry, Variety Show, 1984, pag. 254.
- Trad. dall’ingelse di David McCann, The Columbia Anthology od Modern Korean Poetry, Mirror I, pag. 259.
- Trad dall’inglese di David McCann, Hwang Ji U, Variety Show, 1984.
Bibliografia
- Fowler, Edward. The Rhetoric of Confession. Berkeley: University of California Press, 1992.
- Ji-Woo, Hwang, and Trans. Even Birds Leave the World: Selected Poems. Buffalo: White Pine Press, 2006.
- Lee, Peter H. A History of Korean Literature. Cambridge: Cambridge University Press, 2009.
- Lee, Peter H. Modern Korean Literature: An Anthology. Honolulu: Univ. of Hawaii Press, 1990.
- McCann, David R. The Columbia Anthology of Modern Korean Poetry. New York: Columbia University Press, 2004.
- McCann, David R. Fault Lines: Modern Korean Poetry, Chicago Review, Vol. 39, No. 3/4, A North Pacific Rim Reader (1993), pp. 237-241.
- Rhee, Sharlyn. MUNDART in Global Modernism: The Poetry and Poetics of Hwang Chiu and Ingeborg Bachmann, tesi di dottorato in filosofia nel dipartimento di Letteratura Comparata dell’Università di Chicago, Chicago, Illinois: Dicembre 2003.
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