di Claudia Zangari
Quando si pensa alle società plasmate e sviluppate sotto l’influenza della civiltà cinese, la prima cosa che salta in mente è, senza alcun dubbio, l’adozione dell’ideologia confuciana che fin da l’epoca Han (206 a.C.-220 d.C.) ha permeato non solo la Cina ma anche i paesi confinanti, tra cui la penisola coreana. Qui il confucianesimo venne introdotto nel periodo dei tre Regni (IV sec d.C-668) e divenne ideologia di stato solamente nel periodo Joseon (1392-1910). Una delle principali peculiarità dell’ideologia confuciana è il ruolo ricoperto dalla donna, reputata inferiore rispetto all’uomo, il cui ruolo è quello di servire il padre in gioventù, il marito in età adulta e il figlio nella vecchiaia.
Sebbene questa “tendenza” a considerare la donna inferiore sia tutt’oggi diffusa in quasi tutta la penisola coreana, vi è a sud della Corea, un luogo in controtendenza ove le donne ricoprono il ruolo principale e contribuiscono in maniera significativa all’economia non solo famigliare ma anche sociale. Si tratta delle 해녀 (haenyeo) ovvero “donne di mare” (해, hae – “mare”; 녀, nyeo – “donna”) dell’isola di Jeju. Chiamate anche jamsu (잠수; “tuffatore”) o jamnyeo (잠녀; “donne tuffatrici”) sono donne che fanno della pesca e della raccolta di alghe il mezzo di sussistenza loro e dei villaggi in cui vivono. Distribuite nelle zone costiere dell’isola di Jeju, sono parte vivente del patrimonio culturale dell’isola sud coreana. La caratteristica che rende speciali queste donne è il limitato equipaggiamento da loro utilizzato durante le immersioni. Difatti, le haenyeo si immergono in una profondità che può variare da pochi metri ai 15 m. o oltre e lavorare fino ad un totale di 7 ore al giorno senza utilizzare alcun equipaggiamento tecnico se una comune maschera da immersione. Stesso discorso vale anche per gli strumenti da loro utilizzati per la pesca e la raccolta, non i moderni strumenti di cui si avvalgono pescatori come ad esempio fiocina o raffio ma arnesi arcaici o la pesca con le mani. L’atto svolto dalle haenyeo, ovvero l’immergersi in apnea per pescare o per raccogliere alghe viene chiamato muljil (물질) ed è una tecnica che si affina col tempo ma il cui insegnamento viene impartito alle bambine che intraprenderanno la carriera da haenyeo. Queste, sin dalla tenera età di 7-8 anni imparano le tecniche di immersione per poi “debuttare” intorno ai 15 anni come aegi haenyeo (애기해녀; haenyeo bambine). Spetterà poi loro passare il testimone e trasmettere, una volta adulte, la tradizione del muljil alle nuove generazioni di haenyeo.
Abbiamo due tipologie di muljil: il gotmuljl (곳물질) e il betmuljil (벳물질). Il primo consiste nel “lavorare sul posto” ovvero rimanere nelle vicinanze della riva, mentre il secondo consiste nell’utilizzare un’imbarcazione per dirigersi verso zone più profonde ove lavorare. Al muljil si antepone il sumbisori (숨비소리) ossia il fischio emesso dalle haenyeo quando queste risalgono in superficie. Questo rumore permette di rilassare gli alveoli compressi durante l’apnea, espellere dai polmoni la quantità di CO2 inalata sott’acqua e infine inspirare ossigeno.
Poco è noto sulla storia delle haenyeo in epoche più antiche. Sembra che tale professione fosse praticata già durante il periodo dei tre regni, anche se non possiamo escludere che questo mestiere sia stato presente fin da epoche più remote. Nel Samguk Sagi (삼국사기, 三國史記; Storia dei Tre Regni) si riporta che già nel 503 d.C durante il regno di re Munja (491–519), Jeju intrattenesse dei rapporti con il regno di Goguryeo, al quale offriva tributi sotto forma di frutti del mare. Stessi rapporti sembrano esservi stati anche durante il regno di Goryeo (938-1392). Tuttavia la scarsità dei documenti risalenti a questi periodi storici ci dona solamente delle ipotesi. Bisognerà aspettare il periodo successivo ovvero il periodo Joseon per poter avere qualche notizia più concreta. Perché proprio il periodo Joseon? All’inizio di questo periodo, più precisamente nel 1404, l’isola di Jeju che fino a quel momento si era mantenuta indipendente venne annessa ai territori appartenenti alla dinastia Yi. Da questo momento in poi vi saranno contatti più regolari, nonché maggiori tributi da pagare.
Inizialmente il lavoro legato alla pesca subacquea era prerogativa degli uomini che venivano chiamati pojak (포작), mentre alle donne spettava solamente il compito di raccogliere le alghe. Secondo quanto riportato da Kim Sang-Heon (김상헌; 金尙憲), inviato sull’isola come ispettore durante il regno dell’imperatore Seonjo (1552-1608) alla fine del XVI secolo, il peso dei tributi divenne troppo oneroso ed erano proprio gli strati più bassi della società (quindi contadini e pescatori) a pagarne le conseguenze.
Inoltre, a causa delle frequenti scorrerie dei pirati giapponesi il servizio di leva divenne sempre più rigido. Siffatti motivi spinsero gli uomini, esasperati dal fardello delle tasse e dalla gravosità della leva, a migrare verso l’interno, da Jeju verso i territori a sud della penisola (i.e. Joeolla-do e Gyeongsang-do), riducendo così la forza lavoro presente sull’isola. Verso l’inizio del XVII secolo il gap numerico tra uomini e donne era già ampio, su 800 donne vi erano infatti solamente 500 uomini. Spettò proprio alle donne rattoppare le crepe che si vennero a creare dai flussi migratori e prendere il posto degli uomini. Il loro numero aumentò in maniera inversamente proporzionale al numero degli uomini fino a che, nel tardo periodo Joseon, questi ultimi scomparvero completamente. L’ appellativo di jamnyeo (“donna tuffatrice”) apparve per la prima volta in un’opera risalente al 1630 intitolata Jejupuntogi (Topografia di Jeju; 제주풍토기; 濟州風土記) e attribuita a Lee Geon (이건; 李健) il quale si dice stupito per lo scarso vestiario indosso alle jamnyeo. Col tempo però il carico delle responsabilità affidate alle haenyeo divenne troppo grande, cosicché vennero prese alcune misure per cautelarle. Ad esempio, già a partire dall’inizio del XVIII secolo venne abolito l’obbligo fino allora imposto per la raccolta forzata delle orecchie di mare (abalone) e di alghe. Inoltre dal 1746 sotto l’imperatore Yeongjo (영조; 英祖) si venne ad instaurare un sistema di compravendita che vedeva nei panni del acquirente il governo e in quelli da venditore le haenyeo. Questo nuovo tipo di rapporto però non liberava totalmente le haenyeo dal vincolo emissario-tributario. Seguirono poi altre misure, la più importante delle quali fu quella risalente al 1849 sotto l’ala dell’imperatore Heonjong (헌종; 憲宗) e la quale slegava ufficialmente le haenyeo da qualsiasi tipo di rapporto con il governo. La firma del trattato di Ganghwa con il Giappone (ganghwado joyak; 강화도 조약), il 26 febbraio del 1876, rappresentò il primo dei trattati ineguali imposti alla Corea. Sebbene lungimirante dall’essere definito un trattato equo, questo sancì la fine della politica isolazionistica della Corea e la conseguente apertura economica-sociale-politica del paese. Questo nuovo sistema favori in maniera positiva l’economia delle haenyeo, le quali grazie all’apertura del mercato marittimo anche al Giappone ora potevano vantare una clientela più ampia e internazionale, accrescendo notevolmente la domanda di prodotti marini.
Tuttavia non è tutto oro ciò che luccica e ben presto anche le haenyeo si resero conto di come in realtà l’apertura del mercato ai giapponesi avrebbe fatto tutt’altro che migliorare la loro situazione. I giapponesi difatti importarono nella penisola nuovi metodi e nuove tecniche di pesca, prendendo ben presto il comando della catena di produzione a danno delle haenyeo e occupando i fondali marini nei dintorni di Jeju con le loro navi. Il 25 giugno 1883 venne firmato il Trattato per la regolarizzazione delle tasse e della dogana marittima a seguito del quale i pescatori giapponesi presero letteralmente d’assalto le coste dell’isola con le loro barche ed iniziarono a far razzia di abaloni, cetrioli di mare, alghe e tutto quello che era di vitale importanza per la sopravvivenza delle haenyeo. Tale situazione si aggravò ulteriormente con l’occupazione della penisola da parte del Giappone (1910-1945), costringendo dapprima le haenyeo a spostarsi dall’isola verso la terraferma coreana e successivamente a migrare verso il Giappone, la Cina (Dalian, Qingdao), la Russia (Vladivostok) e il sud-est asiatico. Con l’annessione della penisola all’impero giapponese nel 1905, le haenyeo divennero a tutti gli effetti delle operaie alla mercé dei mercanti giapponesi. Si venne a creare una vera e propria catena di distribuzione commerciale in cui le haenyeo fungevano da produttori procurando la materia prima, il mercante forniva l’area in cui pescare e il supervisore fungeva da intermediario e si occupava del loro reclutamento nonché della loro supervisione, organizzazione e amministrazione. Queste ultime due figure approfittarono della haenyeo, considerate inferiori in quanto donne e analfabete, abusando della loro posizione e costringendole a lavorare oltre gli orari previsti di lavoro, aumentando anche le tasse legate al loro mestiere (tasse d’immersione, commissioni di vendita, quote sindacali etc…). In alcuni casi questi non pagavano loro alcun compenso, obbligandole a rimanere sul luogo di lavoro e impedendo loro il ritorno presso le loro famiglie fin quando non fosse stato saldato il debito che intercorreva tra loro e le haenyeo, debiti però molto spesso troppo onerosi a causa degli alti interessi applicati. Con lo scopo di proteggere le haenyeo e liberarle da questa catena nacque, nel 1920, il Jejudo haenyeo eoeopjohap (제주도해녀어업조합; 濟州島海女漁業組合) ossia l’Associazione per le haenyeo dell’isola di Jeju. Quest’associazione si poneva come obiettivo l’amministrazione, l’organizzazione delle haenyeo e la gestione della loro economia, occupandosi di tutte quelle operazione che vanno dalla vendita dei prodotti pescati all’istituzione di uffici che disciplinassero il trasferimento delle haenyeo e alla corrispondenza dei compensi.
Malgrado l’associazione accrebbe la consapevolezza e la coscienza nelle haenyeo, anche questa fini col cadere nelle mani dei giapponesi.
Dopo la fine dell’occupazione nel 1945, la Corea si ritrovò sotto l’ombrello degli Stati Uniti. Ben presto quella libertà però si trasformò in un nuovo conflitto che sfociò nella guerra fratricida che si concluse con la divisione della penisola lungo l’ormai tristemente noto 38° parallelo. Nel nuovo assetto politico, le haenyeo vennero riconosciute come forza lavoro indipendente ma rimasero comunque relegate infondo alla gerarchia sociale, ancora una volta considerate inferiori agli uomini poiché questi ultimi svolgevano lavori agricoli che richiedevano una maggiore forza fisica. Con l’arrivo del capitalismo in Corea negli anni 60’ venne ripreso il commercio con il Giappone (1962) che favorì notevolmente il settore delle haenyeo. Negli anni 70’ si iniziò a registrare un calo nel numero delle haenyeo dovuto al nuovo ordine economico, che vedeva la Corea del sud inserita all’interno di un mercato internazionale. Sull’isola di Jeju questo nuovo assetto si tradusse con la trasformazione del mercato degli agrumi che divenne ben presto la principale fonte di reddito dell’isola.
Il 30 novembre 2016, le haenyeo sono diventate patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO e stanno oggi ricevendo molta attenzione come tradizione da salvaguardare e da trasmettere alle generazioni successive. Sfortunatamente oggi i numeri delle haenyeo sono drasticamente in calo: delle circa 23.000 haenyeo presenti sull’isola a metà degli anni ’60 si è passato alle 14.000 degli anni ’70 per poi decrescere a circa 4,500 secondo una stima recente. I fattori di tale declino sono vari, promo fra tutti una maggiore accessiblità all’istruzione e il cambiamento economico cui è stato protagonista il paese. Ciò porterà all’estinzione delle haenyeo “per professione” e queste finiranno per rappresentare null’altro che un ricordo, una memoria collettiva.
Movimenti anti-giapponesi
Dopo il movimento d’indipendenza del 1° marzo 1919, si inasprì ulteriormente il sentimento anti-giapponese che inizio a propagarsi in tutta la penisola, coinvolgendo anche l’isola di Jeju. Come già precedentemente accennato, anche l’associazione delle haenyeo finì con essere controllata dai giapponesi. Il momento di maggiore tensione, che poi culminò in rivolta, risale agli anni 30’ quando, un funzionario corrotto dell’associazione delle haenyeo cominciò a vendere illegalmente l’agar agar, un tipo di alga coltivata da loro coltivata, attraverso il porto di Seongsan. Naturalmente le haenyeo e gli abitanti dell’isola reagirono a tale ingiustizia organizzando una protesta che però venne interrotta dalla polizia, la quale arrestò quattro dei protestanti che finirono in detenzione. Per denunciare suddetta ingiustizia vennero allora distribuiti dei volantini in cui si rivelava la verità riguardo l’accaduto. Ancora una volta però intercedette la polizia che arrestò due persone, ritenute colpevoli di tal maldicenza.
Nel 1931 l’associazione concluse con una compagnia giapponese un contratto esclusivo, il quale stabiliva che l’associazione avrebbe dovuto vendere alla compagnia i prodotti al 40% del prezzo di mercato, costringendo le haenyeo a vendere i propri prodotti all’associazione ad un prezzo ancora inferiore. Le proteste non ritardarono ad arrivare ma l’associazione inizialmente riuscì a contenerle promettendo loro di risanare i prezzi. Passarono però diversi mesi e la situazione non mostrò segnali di cambiamento, fu questa la goccia che fece traboccare il vaso. Le haenyeo di Hadori, un villaggio sulla costa nord orientale dell’isola, furono le più colpite da questo patto con i giapponesi e fu proprio da loro che partì la protesta. Il 20 dicembre 1931 le haenyeo dei vari villaggi si riunirono in un incontro preventivo per definire i termini della rivolta. Il 7 gennaio del 1932 circa 300 haenyeo si riunirono ad Hadori e marciarono fino a Sehwari, un villaggio sulla costa sud orientale dell’isola, approfittando del mercato che si sarebbe tenuto proprio lì quel giorno per reclutare altre persone. Da Sehwari si diressero poi verso Pyeongdaeri dove consegnarono presso l’ufficio distrettuale una petizione contenente la loro richiesta per la normalizzazione dei prezzi. In seguito a questa prima grande rivolta, ne seguirono delle altre finché finalmente le richieste delle haenyeo vennero ascoltate e soddisfatte. Le haenyeo a capo delle proteste erano studentesse presso la Hado botong hakkyo yaganbu (하도보통학교 야간부), una scuola per le donne pescatrici gestita da membri del partito anti-giapponese Hyeoku dongmaeng (혁우동맹). Tra il gennaio e l’aprile 1932 vi furono circa 230 rivolte che coinvolsero circa 17.000 persone tra dimostranti, sostenitori e oppositori.
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Copertina by: “Haenyeo” by Baraka50 is licensed under CC BY-NC-ND 2.0