Kōshin shinkō: un culto sull’orlo dell’oblio

di Loris Zevrain

La presenza del taoismo1 nella cultura giapponese non ha mai assunto caratteristiche disturbanti, d’altra parte, come suggerisce Mancuso (2020:129-130), il “dio” presentato dal taoismo si configura come un “Principio ordinatore unico ed immanente del mondo”, facilmente adattabile non solo alle concezioni shintō 神道, ma anche a quelle del Dharma2 buddhista. Durante i periodi Nara (710-784) e Heian (794-1185), si ebbe una massiccia importazione della cultura cinese alla quale conseguì la penetrazione di diversi elementi del taoismo nell’arcipelago, uno di questi, il cosiddetto Kōshin shinkō 庚申信仰, ossia il “culto di Kōshin”, è probabilmente l’esempio più noto dell’influenza taoista in Giappone.

Kōshin shinkō: un excursus storico

Il Kōshin shinkō si configura come una fede popolare di derivazione taoista risalente alla Cina del IV secolo, la quale ebbe un certo consenso in Giappone sin dal periodo Heian, ma che non assunse mai un ruolo preponderante nella vita religiosa giapponese. Il culto Kōshin venne introdotto nell’arcipelago insieme a testi medici taoisti nel corso del IX secolo da parte di monaci Tendai e il Kōshin, che sarà a breve definito, è menzionato in opere come il Kanke monjū 完家文集 (IX sec,), lo Ishinpō 醫心方3 (984) e lo Honchō monzui 本朝 文粋4 (XI sec.). Con il passare dei secoli, la pratica del culto assunse caratteristiche buddhiste che divennero prevalenti a partire dal periodo Kamakura (1185-1333), quando il culto si incentrò sulla divinità tantrica Shōmen kongō 青面金剛.

Il Baopuzi 抱朴子 (317–318), probabilmente compilato dall’alchimista cinese Ge Hong 葛洪 (283-343), è il primo testo in cui si può trovare la teoria dei sanshi 三尸 (Figura 1), nonché il fondamento del culto. Il termine Kōshin denota il cinquantasettesimo giorno del ciclo del calendario sessagenario cinese. In questo giorno, tre “vermi” (come suggerisce lo stesso termine sanshi) portatori di morte che si trovano all’interno del corpo umano, salgono sino all’amministrazione del cielo e riferiscono sui peccati delle persone. Successivamente, i vermi tornano nel corpo della persona per abbreviarne la
vita attraverso la malattia o l’infelicità (Earhart 1974:76-80). I sanshi vengono tratteggiati nel Baopuzi come parassiti bio-spirituali agenti del Direttore del Destino (Siming 司命) e quindi funzionari della cosiddetta amministrazione celeste. Questi agenti sono collocati nel corpo per monitorare pensieri e comportamenti umani e fanno tutto il possibile per incitare la persona a fare del male e ad ammalarsi in quanto, dopo la morte, divorando il sangue, le ossa e i muscoli, sono in grado di assumere le sembianze della persona ingerita e apparire come fantasmi, banchettando ulteriormente con le offerte preparate per il deceduto dalla famiglia di quest’ultimo.

Fig. 1. Sanshi 三尸 “Tre vermi”. Illustrazione del Chu
sanshi jiuchong baoshengjing
除三尸九蟲保生
經 (ca. IX sec.)


Per contrastare l’operato dei sanshi, oltre al compiere esclusivamente buone azioni cosicché non avessero nulla da riportare, vennero escogitati diversi espedienti, tra cui il ricorrere a rimedi erboristici. Per allontanare i parassiti erano infatti utilizzati la radice di asparago, quella di fitolacca o il Sigillo di Salomone ed è interessante notare che un fondo di verità in questo uso effettivamente c’era, dato che le piante sopramenzionate contengono tutte saponine, ovvero veleni che irritano la membrana mucosa del tratto digestivo e quindi respingono i parassiti. Un altro metodo per contrastare l’azione di questi vermi era quello di ripiegare su una dieta che evitasse il grano, di cui i sanshi si
nutrono, così da farli morire di fame. Tuttavia, nel Baopuzi si fa riferimento anche a rimedi ben più drastici:

If pure, unadulterated lacquer is taken, it will put a man in communication with the gods and let him enjoy Fullness of Life. Directions: Mix it with ten pieces of crab. Take it with mica water, or mixed with jade water. The […] Insects will then drop from you, and the bad blood will leave you through nose-bleeds.

(Ware 1966:190)

Furono escogitati anche rimedi spirituali per espellere i vermi, come la pratica del jingzuo靜坐5 e del cunxiang 存想6 per focalizzare la mente o l’uso di incantesimi e legno di pesco, il quale gode di forti poteri anti-demone. Tuttavia, il rimedio più popolare durante il VI e VII secolo, quando il culto iniziò a proliferare in Giappone, era la veglia, ossia lo stare svegli durante la notte per evitare che i vermi lasciassero il corpo. Durante il periodo Heian, le veglie erano allegri incontri alla vigilia del Kōshin in cui l’obiettivo era quello di rimanere desti, così i partecipanti bevevano, giocavano, raccontavano storie e creavano poesie, come se si trattasse di una festa.
Il periodo Muromachi (1336-1573) rappresentò invece il periodo di massimo splendore del culto Kōshin nell’arcipelago, di fatti si diffusero un certo numero di Kōshindō 庚申堂, sale speciali per i rituali che furono costruite in tutto il paese, e da menzionare sono anche i Kōshin engi 庚申縁起 (Figura 2), ossia resoconti locali della pratica. In questo periodo l’aristocrazia e la corte tenevano banchetti ispirati alla religione, i monaci e i guerrieri si impegnavano in riti esorcistici e la popolazione rimaneva sveglia e teneva preghiere comuni con sacerdoti locali e capi shugendō 修験道7 . Durante il periodo Edo (1603-1868) il culto si avvicinò sempre più allo shintō arricchendosi così di pratiche come l’offerta di sake8 , riso, frutta o verdura poste in un oshiki 折敷9 o come la
performance di kagura 神楽10 e norito 祝詞11 durante la veglia. Tuttavia, in periodo Meiji (1868-1912), a causa della separazione forzata di buddhismo e shintō (shinbutsu bunri 神仏分離) a partire dal 1872, il culto Kōshin fu affidato interamente alle pratiche buddhiste e perse gran parte della sua forza.

Fig. 2. Kōshin engi 庚申縁起 della città di Shimohata.

Oggigiorno in Cina il culto non è più praticato e non si tengono né veglie comuni né si riscontra una connessione con le divinità locali, anche se certamente esistono singoli praticanti taoisti che utilizzano alcuni dei rimedi erboristici o delle pratiche esorcistiche. In Giappone invece le veglie sono oggi organizzate da gruppi locali, come templi, santuari, clan o quartieri, vengono presentate attraverso un annuncio formale scritto e prevedono un programma che a grandi linee segue questo schema:

17:00Arrivo dei partecipanti con una torta kōshin a sette colori e un contributo in denaro.
18:00Rituale, pasto vegetariano, chiacchiere, narrazioni, recitazione di poesie, giochi e simili.
24:00Servizio principale, invito della divinità.
05:00Rito conclusivo, commiato della divinità e ritorno a casa.

Riflessioni conclusive

Data la sua natura folcloristica, il Kōshin shinkō manca di un’organizzazione centrale che lo promuova e oggi, più che vivere, sopravvive. Testimonianza di ciò è anche il trasferimento di molte Kōshintō 庚申塔 (Figura 3), ovvero torri del culto Kōshin, all’interno dei templi buddhisti o nelle case private per essere protette. Tuttavia, è curioso notare come lo sviluppo cinese del Kōshin shinkō, nonostante in esso si ritrovasse già un legame con il buddhismo tantrico, non raggiunse mai la portata di quello giapponese, dove la propagazione del culto fu nettamente più ampia. Anche se non assunse un ruolo preponderante nella vita religiosa nipponica, il culto “straniero” venne influenzato dallo shintō, dal buddhismo e da altre credenze locali sin dalla sua importazione, venendo così gradualmente naturalizzato al punto che le sue origini persero rilevanza. D’altra parte, come suggerito da Richey (2015:25), gli stessi “vermi” del Kōshin shinkō rappresentano un esempio di spirito maligno importato in Giappone già circondato da riti profilattici buddhisti, ed era quindi inevitabile un ulteriore mutamento. Nonostante ciò, nel corso dei secoli, il Kōshin shinkō mantenne comunque caratteristiche tipicamente taoiste come la divinazione, l’importanza per la longevità (che rimanda all’intero complesso medico taoista: agopuntura, moxibustione, esercizi per la salute, pratiche dietetiche e altri), senza dimenticare alcuni connotati sciamanistici, di esorcismo e incantesimi, tabù e talismani (Nakamura 1983:25). Per questi motivi, il culto rappresenta l’esempio non solo più noto, ma anche più interessante dell’influenza taoista in Giappone, nonché uno strumento per comprendere meglio l’adattabilità del taoismo alle realtà locali.

Fig. 3. Gruppo di Kōshintō 庚申塔 situato a Fukaya, Saitama

Note

  1. Religione cinese risalente al leggendario Laozi e basata sul Dao (Tao) o principio ultimo. Come religione costituita, apparve nel II secolo d.C. (Faure, B. (2009) Unmasking Buddhism. Blackwell Pub, p. 149).
  2. Nell’Induismo, il termine designa l’ordine cosmico, sociale e religioso. Nel buddhismo, Dharma assume il significato della legge buddhista, ovvero sia l’ordine cosmico che la dottrina del Buddha. (Faure, B. (2009) Unmasking Buddhism. Blackwell Pub, p. 145).
  3. Il più antico testo medico giapponese sopravvissuto. È stato completato nel 984 da Tamba Yasuyori 丹波 康頼 (912-995).
  4. Libro giapponese di prosa e poesia cinese scritto da Fujiwara no Akihira 藤原 明衡 (989?-1066).
  5. Letteralmente “sedersi tranquilli”. È una pratica di meditazione neoconfuciana promossa da Zhu Xi 朱熹 (1130-1200) e Wang Yang-ming 王阳明 (1472-1529) che si configura come una forma di auto-coltivazione spirituale per raggiungere una vita più appagante.
  6. Letteralmente “visualizzazione”. È una pratica esoterica che prevede la visualizzazione di diversi aspetti del cosmo in relazione al proprio corpo e al proprio sé.
  7. Lo shugendō (lett. “la via del potere spirituale mediante l’ascesi”) è una forma di pratica religiosa che ha avuto origine durante il periodo Heian in Giappone. Si ritiene che lo shugendō sia frutto dell’incontro tra gli antichi riti sciamanici shintō con le dottrine e i rituali del buddhismo esoterico, in cui è anche possibile ritrovare una componente taoista. (Raveri, M. (2006). Itinerari nel sacro: l’esperienza religiosa giapponese, Venezia, Cafoscarina).
  8. Bevanda alcolica giapponese.
  9. Vassoio in legno spesso laccato.
  10. Danza sacra shintō con una forte componente sciamanica.
  11. Testi liturgici o incantesimi rituali dello shintō, solitamente indirizzati a un dato kami. (Philippi, D. L. (1990). Norito: A Translation of the Ancient Japanese Ritual Prayers. Princeton University Press. p. VII)

Bibliografia

  1. Earhart, H. B. (1974). Religion in the Japanese Experience: Sources and Interpretations. Belmont, Wadswor, pp. 270.
  2. Faure, B. (2009). Unmasking Buddhism. Blackwell Pub, pp. 159.
  3. Mancuso, V. (2020). L’anima ed il suo destino. Raffaello Cortina Editore, pp. 239.
  4. Nakamura Shōhachi 中村正八. (1983). Nihon no dōkyō 日本の道教. In Dōkyō 道教, Tōkyō: Hirakawa.
  5. Philippi, D. L. (1990). Norito: A Translation of the Ancient Japanese Ritual Prayers. Princeton University Press, pp. 136.
  6. Raveri, M. (2006). Itinerari nel sacro: l’esperienza religiosa giapponese. Venezia. Cafoscarina, pp. 372.
  7. Richey, J. L. (2015). Daoism in Japan: Chinese traditions and their influence on Japanese religious culture. London: Routledge 2015. Routledge Studies in Daoism 4, pp. 283.
  8. Ware, J. R. (1966). Alchemy, Medicine and Religion in the China of A.D. 320: The Nei Pien of Ko Hung. The M.I.T. Press, pp. 388.

Immagini

Copertina by: “庚申塔(こうしんとう)” by yellow_bird_woodstock is licensed under CC BY-NC-ND 2.0

Figura 1
https://zh.wikipedia.org/wiki/%E4%B8%89%E5%B0%B8#/media/File:Taijojo_Sanshi.jpg

Figura 2
http://maikonohama.la.coocan.jp/topics14/simohata/simohata32.html

Figura 3
https://ja.wikipedia.org/wiki/%E5%BA%9A%E7%94%B3%E5%A1%94#/media/%E3%83%95%E3%82%A1%E3%82%A4%E3%83%AB:Hyaku_K%C5%8Dshin.JPG

3 pensieri riguardo “Kōshin shinkō: un culto sull’orlo dell’oblio

  1. Grazie per questo articolo molto completo sul Kōshin, che mi ha insegnato cose che non sapevo. Io ho visitato un tempio legato al culto kōshin in Giappone e ho scritto un articolo semplice sul mio blog. Nell’articolo faccio supposizione che una stele che ho visto possa raffigurare Shōmen kongō , mi piacerebbe ricevere un’opinione a riguardo.

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    1. Buonasera Nicoletta, ho letto il suo articolo sul tempio Kōshin di Sōja e l’ho molto apprezzato, Okayama è una città a cui sono affezionato. In merito alla stele di pietra trovata nel templio, penso possa trattarsi proprio di Shōmen kongō. D’altra parte, statue di forme diverse di Shōmen-Kongō con una o più scimmie si diffusero nei templi e nei santuari come forma di protezione sin dal periodo Edo. Inoltre, la stele presenta il modello di rappresentazione tipico della divinità. Un saluto!

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