Esilio e poesia: un viaggio nella poesia di Bei Dao

di Veronica Di Silvestre

L’esilio nella letteratura cinese è una sorta di leitmotiv che unisce la letteratura del passato a quella del presente. Infatti, fin dall’epoca pre-imperiale, il Potere ha sempre cercato di reprimere ogni tentativo di critica e di espressione di idee personali da parte dei letterati bandendoli dal Paese. L’esilio, per questi coraggiosi poeti, si è rivelato un’inesauribile fonte di energia creativa che ha permesso loro di sondare le profondità del proprio Io che già da tempo volevano esplorare.
Nel panorama della letteratura cinese contemporanea, l’esperienza d’esilio di Bei Dao1 e la poesia che ne scaturì, sono senza dubbio tra le più rappresentative. Essendo nato nel 1949, Bei Dao visse parte della sua adolescenza e giovinezza nel periodo della Rivoluzione Culturale (1966 – 1976). Nonostante, in un primo momento, fosse stato impegnato politicamente in veste di Guardia Rossa, ben presto cominciò a dubitare dell’ideologia comunista perdendo l’entusiasmo della Rivoluzione. Fu a quel punto, ovvero all’inizio degli anni Settanta, che iniziò a scrivere e a scambiare con i suoi compagni le prime poesie sperimentali e ad interessarsi alla lettura, in segreto, di opere straniere (LaPiana, 1994; Tan, 2016).
Essendo uno dei principali esponenti della corrente Menglongshi 朦胧诗 «Poesia Oscura»2 , il suo stile si distingue per l’uso di immagini dalla forte valenza simbolica, e quindi difficili da decifrare, e per la sperimentazione linguistica delle immagini e della forma. In ciò si rifà principalmente ai Poeti Maledetti francesi3 . Tuttavia, nella suddivisione della sua poesia in due tematiche principali, la natura da un lato e le vicende umane e sociali dall’altro, si può anche riscontrare un influsso da parte dei più noti poeti Tang (618 – 907) Li Bai, Du Fu e Wang Wei. Mentre, per quanto riguarda la letteratura cinese moderna e contemporanea, si è ispirato a Lu Xun, Chen Duxiu, Hu Shi e Li Jinfa (Pergher, 1995).

I. Bei Dao, 1988

Il suo esilio ebbe inizio il 4 giugno 1989, il giorno della repressione delle proteste di Piazza Tian’anmen a Pechino. Sebbene in quel momento si trovasse a Berlino, Bei Dao venne comunque considerato dal governo come un sostenitore degli insorti. Durante la protesta, infatti, questi avevano recitato alcune sue poesie i cui contenuti erano stati giudicati sovversivi dal governo. Ciò ha fatto sì che il poeta divenisse un simbolo di democrazia e libertà (Li, 1996; Tan, 2016).
Temendo l’arresto, decise di non tornare in Cina e rimanere in Europa viaggiando tra Germania, Svezia, Norvegia, Danimarca e Francia per poi trasferirsi negli Stati Uniti. Nei primi anni Novanta, gli fu negato di tornare in Cina e, al contempo, fu impedito alla sua famiglia di raggiungerlo all’estero (Van Crevel, 2008). Per cui, a livello personale, i primi anni d’esilio furono duri, all’insegna del dolore e dell’alienazione. Le difficoltà che si trovò ad affrontare furono principalmente quattro: lo shock culturale dovuto alla differenza tra la cultura cinese e le culture occidentali; l’inadeguatezza linguistica del non conoscere bene la lingua del Paese in cui era in esilio, la conseguente incomunicabilità e, infine, l’allontanamento forzato dal luogo d’origine, più familiare per uno estraneo e sconosciuto al quale non sentiva di appartenere (Li, 1996). Ciò inevitabilmente si rifletté anche sulla sua produzione poetica. Qui di seguito verranno proposti al lettore tre componimenti che sintetizzano la poetica post- esilio di Bei Dao. Essa è caratterizzata principalmente dai temi dell’esilio e dell’alienazione che, a loro volta, comprendono anche l’incomunicabilità e il rapporto con il Paese natio e la lingua madre. Il dolore e la sofferenza della sua condizione si rivelarono essere una fonte inesauribile di energia creativa.

Wuti 无题 «Senza Titolo», 1989

他睁开第三只眼睛
那颗头上的星辰
来自东西方相向的暖流
构成了拱门
高速公路穿过落日
两座山峰骑垮了骆驼
骨架被压进深深的
煤层
他坐在水下狭小的舱房里
压舱石般镇定
周围的鱼群光芒四射
自由那黄金的棺盖
高悬在监狱上方
在巨石后面排队的人们
等待着进入帝王的
记忆
词的流亡开始了
(Bei, 1991)
Lui apre il terzo occhio
quella stella sul suo capo
tiepide correnti da est e ovest
hanno formato una porta ad arco
l’autostrada attraversa il tramonto
due cime hanno cavalcato un cammello fino allo sfinimento
il suo scheletro è stato schiacciato all’interno di un profondo strato
di carbone
lui siede nell’angusta cabina sott’acqua
calmo come un’ancora
banchi di pesce tutt’attorno si irradiano in tutte le direzioni
la libertà, quel coperchio di bara dorato
si leva alto sulla prigione
la gente in fila dietro l’enorme roccia
attende di entrare nelle memorie dell’Imperatore
l’esilio delle parole è iniziato4

In questo componimento senza titolo5 , le immagini prive di connessione catturano immediatamente il lettore. Quel ta 他 «lui» che compare soltanto al primo e al nono verso probabilmente si riferisce al poeta stesso. Il di san zhi yanjing 第三只眼睛 «terzo occhio» potrebbe simboleggiare la posizione privilegiata di outsider/insider che l’esule occupa sia nel Paese ospitante sia in quello d’origine. Il distacco fisico dalla propria patria ed emotivo dal Paese estero che lo accoglie gli permette di guardare le cose più nel profondo e con fare critico.
Una huangjin de guan gai 黄金的棺盖 «bara dal coperchio dorato» è metafora di libertà. L’accostamento ossimorico dei due termini, rafforzato anche dalla presenza della parola jianyu 监狱 «prigione», sembra voler rimandare all’esperienza dell’esilio. In apparenza l’esule, una volta fuori dal proprio Paese, non è più perseguibile per ciò che scrive e ciò che fa, per cui dovrebbe essere libero. Tuttavia, non potendo far ritorno a casa, si sente imprigionato nella sua stessa condizione. L’incongruenza nell’accostamento delle immagini si risolve nell’ultimo verso: ci de liuwang kaishi le 词的流亡开始了 «L’esilio delle parole è iniziato».
Queste immagini dissonanti, dunque, si rivelano essere l’espressione dell’inesprimibile. L’incomunicabilità in poesia dà voce all’ostacolo linguistico che il poeta-esule incontra fuori dalla propria terra. Al tempo stesso, diventa una forma di comunicazione, o meglio, una nuova forma di espressione poetica.

Wuti无题 «Senza titolo», 1991

在母语的防线上
奇异的乡愁
垂死的玫瑰

玫瑰用茎管饮水
如果不是水
至少是黎明

最终露出午夜
疯狂的歌声
披头散发
(Bei,1993)
Sulla linea di difesa della lingua madre
una strana nostalgia
una rosa sta appassendo

La rosa assorbe l’acqua con lo stelo
se non è acqua
almeno è l’alba

Alla fine si rivela la mezzanotte
un canto folle
avvolge la testa e scarmiglia i capelli6

In questa poesia, anch’essa senza titolo, emerge il tema del rapporto con la lingua madre che si concretizza in un atteggiamento di attaccamento nei confronti di quest’ultima. Nei primi due versi si possono notare degli evidenti marcatori dell’esilio quali muyu 母语 «lingua madre» e xiangchou 乡愁 «nostalgia» che, letteralmente, è chou 愁 «dolore/preoccupazione» per la propria xiang 乡 «casa» intesa come «città natale». Nei versi successivi, attraverso la “tecnica del montaggio”7, l’attenzione si sposta sulla «rosa» che diviene la protagonista della scena poetica. Si tratta di un fiore le cui radici sono state recise, per cui, nonostante possa assorbire acqua con lo stelo e ricevere la luce chiara dell’alba, è destinata ad appassire. Sembrerebbe una metafora della condizione del poeta-esule. Anch’egli, come la rosa, è stato “sradicato” per cui, si trova in uno stato di costante sofferenza. L’atmosfera è resa ancora più cupa dal fengkuang de gesheng 疯狂的歌声 «canto folle » nel terzultimo verso.
L’atteggiamento di attaccamento verso la lingua cinese sopra descritto, in altre poesie, si trasforma nell’opposto. Infatti, in Duyao毒药 «Veleno» il poeta sostiene di doversi zhedang muyu de taiyang 遮挡母语的太阳 «riparare dal sole della lingua madre» (Bei, 1991), quasi come se quest’ultima costituisca una sorta di pericolo. Dunque, da un lato la lingua madre rappresenta per il poeta l’unico legame con la madrepatria, dall’altro essa costituisce il motivo dell’alienazione del poeta in terra straniera. Tale atteggiamento ambiguo culmina nel seguente componimento.

Xiangyin乡音 «Accento locale»,1989

我对着镜子说中文
一个公园有自己的冬天
我放上音乐
冬天没有苍蝇
我悠闲地煮着咖啡
苍蝇不懂得什么是祖国
我加了点儿糖
祖国是一种乡音
我在电话线的另一端
听见了我的恐惧
(Bei, 2018)
Parlo cinese di fronte allo specchio
un giardino ha il proprio inverno
metto su della musica
in inverno non ci sono mosche
preparo il caffè con calma
le mosche non capiscono cosa sia
una patria
aggiungo dello zucchero
la patria è una specie di accento
locale
dall’altro capo del telefono
riesco a sentire la mia paura8

Si tratta di una tra le più celebri poesie che egli abbia scritto durante l’esilio. Essa presenta una struttura molto peculiare. Sembra essere costituita da due poesie incastrate tra loro. Infatti, si può notare che i versi 1,3,5,7 e 2,4,6,8 formino due poesie separate, mentre gli ultimi due versi costituiscano un distico a sé stante (Van Crevel, 2008).
Tenendo a mente questa struttura, nella poesia formata dai versi dispari è evidente la ripetizione del pronome personale in prima persona wo 我 «io». Il protagonista dell’azione è, dunque, il poeta che è intento a svolgere delle normali attività quotidiane come fang shang yinyue 放上音乐 «mettere su della musica» e zhu zhe kafei 煮着咖啡 «preparare il caffè» in uno spazio domestico. A ciò si aggiunge anche quella di dui zhe jingzi shuo zhongwen 对着镜子说中 文 «parlare cinese di fronte allo specchio». Agli occhi del lettore quest’azione è tutt’altro che comune, mentre per l’esule è un modo per mantenere un contatto costante con la propria lingua e la propria cultura. Nella poesia formata dai versi dispari, invece, la scena poetica si svolge all’aperto e, dunque, non più in un confortevole ambiente domestico. La scelta della stagione invernale non è casuale. Infatti, essa suggerisce un senso di distacco e distanza. Per cui, fuor di metafora, lo spazio chiuso della casa rappresenta il luogo natio, mentre tutto ciò che è all’esterno rappresenta la terra straniera in cui il poeta vive sentendosi fuori luogo. Questa “struttura doppia” del componimento riflette la “doppia prospettiva” dell’esule (Lin, 2019). Prendendo in prestito le parole di Edward Said essa permette all’esule di vedere: «[…] le cose sia in termini di ciò che si è lasciato alle spalle e di cosa è attuale qui ed ora, c’è una doppia prospettiva che non vede mai le cose isolate l’una dall’altra»9 (Said, 1994).
Successivamente, tornando al componimento originale, è possibile notare il parallelismo tra le due parti. Implicitamente il poeta paragona sé stesso ad una mosca. Non si tratta di un paragone di uguaglianza, bensì di disuguaglianza. L’uomo, essendo dotato sia di ragione che di sentimento, è in grado di rendersi conto delle cose e, di conseguenza, soffrire per questo. Al contrario, una mosca essendo priva di razionalità e sentimento, ne è incapace. Per questo non ha idea di cosa sia una patria e, dunque, non può né provare nostalgia nei suoi confronti né sentirsi alienata. Il paragone tra il poeta e la mosca sottende il desiderio da parte del primo di voler essere come la seconda per non dover soffrire.
Come già accennato, il rapporto poeta-lingua madre e poeta-Paese d’origine si complica. Infatti, egli definisce la propria patria come xiangyin 乡音«accento locale» con il significato di «dialetto della città natale» e non più come zhongwen 中文 «cinese» con il significato di putonghua «cinese standard». Ciò fa sì che l’accento locale si opponga sia al cinese standard sia alla lingua straniera mettendo in evidenza il conflitto identitario del poeta-esule il quale non è più in grado di identificare sé stesso (Pozzana, 2007).

Nonostante i pochi componimenti presi in analisi non permettano di cogliere tutte le sfumature e la peculiarità della poetica di Bei Dao, da essi si può tuttavia evincerne gli aspetti fondamentali. Questi, infatti, ben esemplificano la grande abilità del poeta nel trattare delle tematiche personali e renderle, attraverso l’arte poetica, un’esperienza dal valore universale. Come lui stesso ha affermato: «Credo che la scrittura sia una sorta di esilio dal linguaggio quotidiano. La scrittura è dare un nuovo nome al mondo. Scrivere poesia significa cercare di aprire nuovi orizzonti e spezzare il cerchio della lingua esistente»10 (Featherston,1999). Dunque, grazie alla scrittura alle volte, egli riesce a vincere i propri conflitti interiori, altre ad accettarne consapevolmente la sconfitta e a trasformare il dolore nella forma d’arte più sublime. La sua, vuole essere una “poesia senza confini” tesa alla ricerca di una nuova forma di comunicazione eludendo la molteplicità del transnazionale e transculturale. L’esilio, semplicemente, costituisce un ulteriore stimolo alla creatività e alla ricerca di un nuovo linguaggio che possa liberare le individualità presenti non soltanto all’interno della società cinese, ma anche in tutte le altre società del mondo.

Note

  1. Nome di penna di Zhao Zhenkai. In cinese beidao 北岛 significa «isola del Nord». Questo pseudonimo è stato scelto dal collega Mang Ke. Esso sembra presagire il suo destino di esule. Difatti, ha trascorso i suoi primi anni d’esilio in Nord Europa.
  2. Si tratta di un gruppo di giovani poeti nato alla fine degli anni Settanta il cui nome fa riferimento alle loro poesie di difficile comprensione, composte avvalendosi di immagini polivalenti e di una sintassi irregolare.
  3. Si tratta principalmente di Paul Verlaine, Arthur Rimbaud e Stephane Mallarmé.
  4. La traduzione dal cinese è dello scrivente [N.d.A].
  5. Nella produzione poetica post-esilio, i componimenti senza titolo si fanno sempre più frequenti esprimendo così il disagio e la difficoltà di comunicazione da parte del poeta.
  6. La traduzione dal cinese è dello scrivente [N.d.A].
  7. Una tecnica che ricorda il montaggio cinematografico. Si mette in pratica portando l’attenzione del lettore su di un personaggio, un oggetto o un sentimento in particolare tralasciando il resto.
  8. Si specifica che la traduzione dal cinese è di Lombardi Rosa, curatore del volume [Bei] (2018).
  9. La traduzione dall’inglese è dello scrivente [N.d.A].
  10. La traduzione dall’inglese è dello scrivente [N.d.A].

Bibliografia

  1. Bei Dao北岛. (1991). Old Snow. Trad di. McDougall B., Chen Maiping. New York: New Directions.
  2. Bei, Dao北岛 .(1993). Forms of Distance. Trad di. Hinton D. New York: New Directions.
  3. Bei, Dao北岛. (2018). La Rosa del Tempo. Poesie scelte (1972-2008). Lombardi Rosa (a cura di). Roma: Elliot.
  4. Featherston, D. (1999). “Renaming the World: Interview with Bei Dao”. Rain Taxi. 4(3), pp. 49-51.
  5. Li, Dian李点. (1996). “Ideology and Conflict in Bei Dao’s Poetry”. Modern Chinese Literature. 8(2), pp. 369-385.
  6. Lin, N. (2019). “The poetics of Exile: The Cases of Shang Qin and Bei Dao” in Chinese Poetic Modernism, Manfredi Paul e Lupke Christopher (a cura di). Leiden: Brill Academic Pub, pp.181-208.
  7. Pergher, P. (1995). La Letteratura delle Rovine: L’opera narrativa di Bei Dao. Dortmund: Edition Cathay.
  8. Pozzana, C. (2007). “Distances of Poetry: An Introduction to Bei Dao”. Positions. East Asia Cultures Critique. 15(1), pp. 91-111.
  9. Said, E. W. (1994). Representations of the Intellectual: The 1993 Reith Lectures. London: Vintage.
  10. Tan, Chee Lay. (2016). Constructing a System of Irregularities: The Poetry of Bei Dao, Yang Lian and Duo Duo. New Castle upon Tyne: Cambrige Scholar Publishing.
  11. Van Crevel, M. (2008). “Exile:Yang Lian, Wang Jiaxin, Bei Dao” in Chinese Poetry in Times of Mind, Mayhem and Money. Leiden: Brill, pp- 137-189.

Sitografia

  1. LaPiana, S. (1994). “An Interview with Visiting artist Bei Dao”. The Journal. [online].2(1). [consultato il 18 gennaio 2022]. Disponibile da:
    https://quod.lib.umich.edu/j/jii/4750978.0002.102/–interview-with-visiting-
    artist-bei-dao-poet-in-exile?rgn=main;view=fulltext.

Immagini

  1. Bei Dao,1988. Foto di Peter Vandermeer. Da: Van Crevel, M. (2008). Chinese Poetry in Times of Mind, Mayhem and Money. Leiden: Brill.

Copertina by: https://www.pangea.news/bei-dao-yang-lian-poeti-cinesi/

All Rights reserved to the artist

Pubblicato da Veronica Di Silvestre

Dottoranda in Letteratura Cinese Contemporanea presso la Beijing Normal University Membro della redazione della Rivista Asiatika sezione Cina

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