Simboli, totem o divinità: il dilemma sul ruolo degli animali nella Cina pre-imperiale

di Jessica Matarrese (Referente Sezione Cina)

Uno dei periodi più controversi, ma senz’altro più avvincenti dell’antichità cinese, è rappresentato dall’Età del Bronzo, un’epoca contraddistinta dalla preminenza culturale[1] Shang (ca. 1600 – 1045 a.C.), la seconda in ordine di tempo delle tre dinastie pre-imperiali cinesi. Di essa e delle altre culture neolitiche rigogliosamente prosperate sul territorio delle Pianure Centrali nel corso del II millennio a.C., ben poco è scampato all’oblio del tempo a tal punto che questa perdita di memoria storica venne evidenziata già qualche secolo più tardi dagli anonimi autori del Lunyu 論語 (Dialoghi) attraverso la figura di Confucio: 

子曰:「夏禮,吾能言之,杞不足徵也;殷禮,吾能言之,宋不足徵也。文獻不足故也,足則吾能徵之矣。」[2]

Potrei anche parlare dei codici rituali Yin[3], ma Song[4] non sarebbe in grado di fornirmi le prove a sostegno perché i documenti ivi preservati non sono sufficienti; solo se lo fossero potrei provare le mie tesi.

Benché gli scavi archeologici degli inizi del Novecento siano riusciti in qualche modo a tamponare tale emorragia fornendo molti dettagli riguardo il contesto religioso Shang come i nomi dei principali sacrifici e dei loro destinatari, i calendari rituali, il numero delle vittime offerte e la struttura del pantheon, non sono ancora chiari i concetti fondanti delle credenze religiose e delle correnti di pensiero, le fasi e le modalità esecutive dei riti, la natura delle deità e i rapporti fra le gerarchie divine, le concezioni sull’aldilà, la mitologia, la cosmologia, il folklore e i culti popolari (Fracasso, 2013a).

Vase ‘You’ dit ‘La Tigresse’ (Musée Cernuschi, Paris)
by dalbera

In questo scenario, capire il valore che le genti di Shang attribuissero agli animali, vista la loro massiccia rappresentazione nella fase finale e più florida della dinastia, potrebbe forse gettare maggior luce su quegli aspetti del sacro che, come citato pocanzi, rimangono ancora nebulosi. Tra il 1200 a.C. e il 1045 a.C., infatti, un nuovo gusto estetico si impose nel panorama artistico cinese attraverso sculture zoomorfe a tutto tondo, piene, sinuose a definire oggetti di estrema sperimentazione ed esempi sofisticati di maestosa raffinatezza: oltre ad esemplari di tigri, bufali, argali[5] e cervi che venivano direttamente associati al sovrano, un tripudio di gufi, uccelli, cicale, bachi da seta, pesci, rane, testuggini, lepri, serpenti, elefanti, rinoceronti, cavalli, orsi invase il repertorio cerimoniale di questo periodo. 

Tra gli esempi più rappresentativi di quest’epoca può annoverarsi un magnifico cimelio appartenente alla collezione di bronzi del Musée Cernuschi di Parigi: “La Tigresse”. Come il nome attribuitogli dagli studiosi suggerisce, si tratta della raffigurazione di un animale, appartenente alla sottofamiglia dei felini, di sesso femminile, assiso sulle due zampe posteriori e sull’estremità leggermente rivolta della coda. Tra le fauci aperte, si scorge una piccola figura umana dal volto sereno e imperturbato, avviluppato contro il corpo della belva tramite le zampe anteriori. La decorazione, che ritma in modo consistente tutto il manto della tigre, è costituita da grandi motivi zoomorfi, tra i quali numerosi draghi kui [6] e taotie饕餮[7] dalle corna taurine, stagliati poi su uno sfondo finemente lavorato a leiwen 雷纹[8]. Visto da un’angolazione posteriore, tuttavia, questo complesso schema ornamentale rivela una maestosa figura d’elefante, che sembra emergere direttamente dal corpo del felino, e che trasforma la coda della tigre nella proboscide del pachiderma. A coronare il tutto, una scultura con sembianze caprine e grandi orecchie, sormonta, infine, il coperchio. Il manico, articolato e posizionato sul retro, è composto di altre maschere zoomorfe con orecchie a punta e corpi flessuosi. Benché sia, senza dubbio, lo you [9] più celebre e di maggior pregio conservato dall’istituzione museale francese sopra citata, per quanto riguarda il suo contesto archeologico, ciò che si sa ad oggi è che sia stata acquistata nel 1920 in seguito al sequestro dei beni di un certo Adolphe Worch, antiquario tedesco in stanza a Parigi. Tuttavia, le condizioni di questa acquisizione, unite ai metodi dei mercanti dell’epoca, rendono ancora ignote le informazioni sulla provenienza del manufatto (Bellec, 2016). Una tradizione orale, tuttavia, collocherebbe la sua origine nello Hunan, ai piedi del monte Weishan, ai margini dei distretti di Anhua e Ningxiang, a ovest di Changsha. In effetti, due sono gli elementi che concorrerebbero a rendere plausibile questa provenienza “meridionale”: l’insolita tonalità del bronzo, di verde scuro quasi nero e una particolare lucentezza, estranea ai vasi che compaiono sulle tavole delle antiche collezioni dei letterati catalogatori, ma vicina a quella dei reperti recuperati nella sopra citata provincia. Inoltre, il tema decorativo del felino associato a una figura umana, sebbene attestato nel regno Shang, sembra essere maggiormente caratteristico della produzione di questa zona indipendente e periferica dove, diversi secoli dopo, prese forma il Regno di Chu 楚 (IX sec. – 223 a.C.). Allo stesso modo, anche l’aspetto esegetico ci risulta ancora incerto. Volendo tentare di formulare delle ipotesi, all’interno dello Zuozhuan 左傳[10] si afferma che il nipote di un certo Ruo Ao, originario proprio del Regno di Chu, di nome Zi Wen, sarebbe stato accolto e nutrito da una tigre quando era bambino. E, in effetti, l’espressione serafica del personaggio e i suoi piedi appoggiati con fiducia sulle zampe del felino darebbero credito a questo tipo di spiegazione. Tuttavia, non si può escludere del tutto l’ipotesi avanzata da taluni per la quale il simulacro umano sia, in realtà, un bambino schiavo, simbolo delle influenze nefaste, in procinto di essere sacrificato (Gilles, 2000). È indubbio, infatti, che l’effigie della tigre sia stata usata per secoli nella tradizione cinese come simbolo apotropaico contro gli spiriti demoniaci nella convinzione che i fantasmi e i demoni rifuggissero timorosi al suo cospetto. Emblema del vento, simbolo del potere, la tigre è poi rimasta nella cosmologia correlativa daoista[11] a designare il punto cardinale dell’Ovest e la stagione dell’autunno. Occupa, inoltre, un posto importante nel fengshui 風水 per la designazione delle sepolture e delle abitazioni più propizie (Combaz, 1945:22). Altri sinologi come Chantal Zheng, invece, propugnano l’idea che l’uomo raffigurato stia penetrando nel ventre del totem-antenato per esservi simbolicamente sepolto. Prendendo in prestito le parole della studiosa, egli sarebbe «l’espressione della ricerca dell’indistinto primordiale nella notte cosmica, e il ritorno al caos che prelude alla rinascita» (Zheng, 1986:121)[12]. Dunque, bisognerebbe ipotizzare che anche nella concezione cinese antica, similmente ad altre culture e tradizioni, l’Uomo avrebbe creduto di provenire dal suo totem e che a lui sarebbe ritornato al momento della morte. 

Ma andiamo ancora più a fondo. Analizzando sul piano filologico il termine wu 物 che, tutt’oggi, nella lingua moderna, designa le creature animali, lo Shuowen jiezi 說文解字 (Chiarimenti sulle grafie semplici e spiegazioni delle forme complesse), il primo vocabolario della storia cinese ultimato da Xu Shen 許慎 nel 100 d.C.[13], così riporta:

萬物也。牛爲大物。牛爲物之大者。故物从牛。按許說物从牛之故。又廣其義如此。故从牛。[…] 勿聲。

Per quanto concerne i diecimila esseri, il bue ne è il più importante e il più considerevole in termini di corporatura. Secondo Xu [Shen], il carattere wu deriverebbe, per estensione, da quello di bue. Pertanto, [wu] deriva da «bue» […] e la parte destra del carattere ne costituisce il fonoforico[14].

Vase you en forme de félin, dit La Tigresse. Bronze, H. 35 cm. Province du Hunan. 12e siècle avant l’ère commune, époque de la dynastie Shang, mais hors de son territoire. MC 6155. Musée Cernuschi (Paris) by Chatsam

Sulla vicenda, tuttavia, gli studiosi dibattono da secoli senza che sia stata ancora raggiunta una risposta univoca pienamente convincente. La chiave di lettura proposta da Zheng (1986), ad esempio, assimila il termine wu a quello di «stendardo» posto a identificare un villaggio. Leggiamo ancora dalle sue parole che «in effetti, la sua grafia ricorda il braccio di uno stendardo corredato da un pennacchio, il che conferma che in Antichità le comunità umane vivessero raggruppate in villaggi tra loro contraddistinti da uno stendardo»[15]Ciò che adduce a prova della sua ipotesi è un laconico passaggio dello Zhouli 周禮 (Riti dei Zhou)[16], testo compilato durante il periodo degli Stati Combattenti (453 – 221 a.C.): 

掌九旗之物名,各有屬,以待國事。

Si assunsero i nomi [degli emblemi] zoomorfi dei nove stendardi, differenti per ciascun tipo, al fine di adempiere ai pubblici uffici.[17]

Tale prospettiva, sempre secondo la sinologa, sarebbe perfettamente coerente con le glosse di Xu Shen. L’associazione dell’elemento bovino con wu 物suggerirebbe, infatti, che l’emblema niu 牛«bue» possa essere stato il primo ad essere impiegato su uno stendardo come simbolo di un clan. Ipotesi, questa, corroborata dal fatto che la carne di questo animale abbia rivestito un’importanza economica essenziale in una società di tipo agricolo come era quella cinese in passato e, pertanto, oggetto di particolare rispetto (Zheng, 1986). Per contro, lo studioso francese Leon Vandermeersch (1980)[18] contesta una lettura inesatta dell’erudito Xu Shen nei riguardi del carattere wu 物: a suo dire, infatti, ciò che il compilatore interpretò come fonoforico ossia l’elemento wu勿, altro non sarebbe che una rappresentazione stilizzata di un rastrello conficcato nel terreno. Il significato, allora, sarebbe da doversi intendere come «terra arata» e, per estensione, «campo striato» e poi «sfondo variegato». In combinazione con l’elemento niu, l’intero carattere non assumerebbe il significato di «bue che tira l’aratro», piuttosto quello di «bue maculato». La veridicità di queste tesi sarebbe, secondo lo studioso, comprovata dall’arte cinese stessa nella quale abbondano elementi “striati”, simboli intermedi tra scrittura e disegno, presenti già nell’arte ceramica preistorica, forse incarnazioni animali di spiriti. In effetti, stando ai resoconti mitologici, Cang Jie 倉頡, ministro del leggendario Imperatore Giallo 黃帝[19], inventò la scrittura ideografica basandosi proprio sull’osservazione degli astri e delle impronte lasciate nel terreno dagli animali selvatici. Tutto ciò conferma perlomeno quanto il rapporto dei Cinesi con il regno animale sia sempre stato molto stretto. Vandermeersch, infine, aggiunge a questo riguardo che «i prototipi più antichi dei caratteri cinesi dovevano essere dei monogrammi, simboli di entità spirituali protettrici, posti sul vasellame destinato alle cerimonie sacre».[20] E, in effetti, la stessa dinastia Shang, secondo i testi pervenutici dalla tradizione, fece derivare i propri natali da un misterioso volatile di cui si ha notizia tramite un passaggio dello Shijing 詩經 (Classico delle Odi): 

天命玄鳥、降而生商、宅殷土芒芒。[21]

Il Cielo ordinò all’oscuro uccello / di scendere in terra e generare gli Shang.

Il prosieguo della vicenda ci viene svelato da Sima Qian tra le righe dello Shiji 史記: 

殷契,母曰簡狄,有娀氏之女,為帝嚳次妃。三人行浴,見玄鳥墮其卵,簡狄取吞之,因孕生契。[22]

Jian Di, madre di Xie, era figlia del Signore di Song (You Song). Al tempo di Yao, si bagnò con la sorella minore in un corso d’acqua fra le Colline Oscure (Xuanqiu). Un uccello scuro transitò sopra di loro e lasciò cadere un uovo che recava nel becco; l’uovo era policromo e d’aspetto meraviglioso, e le fanciulle se lo contesero. Dopo averlo afferrato, Jian Di lo nascose in bocca, ma per errore lo inghiottí e, in seguito, diede alla luce Xie.[23]

Se tutti questi elementi siano sufficienti per ritenere l’esistenza anche nella civiltà cinese del totemismo e dello sciamanesimo, è ancora tutto da dimostrare. Come, infatti, ben riflette Fracasso (2013a), «la presenza in epoca Shang di personaggi con qualità e funzioni parzialmente avvicinabili a quelle degli sciamani d’area siberiana è un’ipotesi che non può essere scartata in via definitiva, ma le prove sinora fornite per sostanziarla sono a dir poco insoddisfacenti», nonostante non sia esiguo il numero di sinologi che abbia tentato a più riprese nei decenni di avanzare ipotesi e trovare prove schiaccianti in tal senso. Se si può ammettere che nella sua fase finale la dinastia Shang si configurasse come una società teocratica, in transizione tra un sistema tribale avanzato e uno proto-statale[24], il cui lignaggio reale esibiva pienamente il proprio potere attraverso sacrifici rituali e battute di caccia, il livello di burocratizzazione già da essa raggiunto in alcune pratiche come la piromanzia[25], dovrebbe imporre una certa cautela verso affermazioni di tipo sciamanico. Discorso simile andrebbe fatto per il totemismo. Nonostante le prove fin qui visionate potrebbero dare adito a supposizioni favorevoli a quest’idea, in assenza di documenti coevi risulta difficile formulare qualsiasi tipo di certezza. 


Note

[1] Quando in antropologia si parla di “cultura” si intende un insieme di comunità umane distribuite su un territorio più o meno vasto che condividono determinate abilità tecniche e pratiche religiose.

[2] Lunyu 論語 3.9. La traduzione è ad opera di Fracasso (2013a:547).

[3] Altro nome con cui è conosciuta la dinastia Shang nella storiografia ufficiale suggerito dall’ultima capitale del regno situata nei pressi dell’odierna Anyang, nella provincia dello Henan. Ancor oggi, tale nomenclatura viene mantenuta dai sinologi giapponesi.

[4] Sempre secondo la tradizione, dopo l’esautorazione degli Shang ad opera dei Zhou nella celebre battaglia di Mu Ye del 1045 a.C., i superstiti sarebbero stati confinati nel feudo di Song affinché potessero continuare a celebrare e perpetrare i loro riti ancestrali.

[5] Ovis ammon il suo nome scientifico, si tratta dell’ovino selvatico più robusto e di grandi dimensioni presente in natura. Autoctono degli altopiani dell’Asia centrale, si contraddistingue per le sue possenti e nodose corna.

[6] Gli stessi che compongono, dividendolo specularmente, un altro motivo decorativo piuttosto controverso della storia dell’arte cinese antica: il taotie. Per approfondimenti, vedesi nota seguente.

[7] Maschera dal volto ferino tipica del tardo periodo Shang (1200 – 1045 a.C. ca), anche se le sue prime apparizioni risalgono alla fine dell’epoca Erligang (1500 – 1300 a.C. ca), nella media Età del Bronzo. Simmetricamente costruita attorno ad una coppia di ampi occhi sgranati, solitamente resi in rilievo, è completata da motivi anatomici astratti, rotondeggianti, dai contorni fluidi seppur netti, suscettibili di mutamento. Talora, infatti, questi possono assumere le sembianze di corna ovine o bovine, di orecchie feline, zanne, zampe, corpo e coda. I motivi anatomici sono, inoltre, arricchiti al loro interno da decori spiraliformi, che ne movimentano ulteriormente la superficie. La propensione del taotie al mutamento viene ulteriormente accentuata dalla rigorosa simmetricità dello schema decorativo, che pare suddividerlo centralmente in due sezioni, facendo così apparire allo sguardo dell’osservatore l’immagine di due draghi kui posti di profilo, forse nell’atto di scagliarsi l’uno contro l’altro. Sul significato che tale motivo decorativo possa aver assunto, ancora molte sono le ipotesi avanzate nei decenni dai sinologi, delle quali, tuttavia, nessuna comprovata a causa dell’assenza di testimonianze scritte risalenti all’epoca.

[8] Letteralmente, «motivo del tuono». Ѐ una decorazione di riempimento formata da fitte combinazioni di spirali squadrate atte a movimentare la superficie dei bronzi e ad accentuare il carattere mutevole dei soggetti rappresentati sui recipienti.

[9] Recipiente vascolare in bronzo adibito alla conservazione di bevande alcoliche tipico dei corredi cerimoniali di epoca Shang (ca. 1600 – 1045).

[10] Il commentario principale (benché non l’unico) del Chunqiu 春秋 (Annali delle Primavere e degli Autunni), uno dei Cinque Classici alla base dell’erudizione per la carriera di funzionario di corte. Viene citato da Sima Qian tra le sue fonti principali per la stesura dello Shiji 史記 (Memorie storiche) in quanto primo testo a proporre una vera narrativa storica. Tuttavia, parrebbe che originariamente fosse un’opera a sé stante fusa con il Guoyu 國語 (Discorsi degli Stati), annoverata come commentario ufficiale solo durante gli Han Orientali (25 – 220) in qualità di portatrice dell’esegesi etica e politica ru 儒. Tradizionalmente attribuita a Zuo Qiuming 左丘明, vissuto nel V secolo a.C. e dal quale deriva il suo nome, l’opera risale in realtà al tardo IV secolo a.C. ossia al periodo degli Stati Combattenti (453 – 221 a.C.) e dunque si configura come una narrazione adespota riportata a posteriori rispetto agli eventi narrati. A livello testuale, segue la progressione storica degli Annali, ma include documenti e dialoghi ulteriori del 722 – 468 a.C. in una coerente narrazione retorica a fini didattici. Tali aneddoti sono occasionalmente chiosati da verdetti morali espressi da Confucio o da un anonimo junzi 君子 con la funzione di esplicitarne gli insegnamenti da estrapolare.

[11] Comunemente accettato anche sotto la dicitura “taoista” in ottemperanza al sistema di traslitterazione adottato, pinyin (nella prima forma) o Wade-Giles (nella seconda).

[12] In originale, «l’expression de la recherche de l’indistinct primordial dans la nuit cosmique, et le retour au Chaos qui prélude à la renaissance». La traduzione dal francese è dello scrivente. [N.d.T.]

[13] Tuttavia circolato solo a partire dal 121 d.C.

[14] La traduzione è dello scrivente. [N.d.T.]

[15] In originale, «Effectivement sa graphie évoque un bras d’étendard assorti de plumets, ce qui confirme que dans l’Antiquité les groupes humains étaient concentrés dans des villages qui se distinguaient par leur étendard». La traduzione dal francese è dello scrivente. [N.d.T.]

[16] Conosciuto, inoltre, come Zhouguan 周官e Zhouguanjing 周官經, deve la sua normalizzazione in Zhouli 周禮 a Liu Xin, bibliografo alla corte Han. 

[17] Ossia le mansioni pubbliche. La traduzione è dello scrivente. [N.d.T.]

[18] Vandermeersch (1980) da Zheng (1986), p. 122.

[19] Per approfondimenti sulle figure di Cang Jie e dell’Imperatore Giallo, si veda nota 4 all’articolo dello scrivente “Inondazioni, terremoti, epidemie: l’ombra del Mandato Celeste sull’era dell’ ‘imperatore’ Xi Jinping” pubblicato in questa stessa rivista. 

[20] «Les prototypes les plus archaïques des caractères chinois devaient être des monogrammes emblématiques d’entités spirituelles protectrices, tracés sur des vases à destination cultuelle». La traduzione dal francese è dello scrivente. [N.d.T.]

[21] Ode 303 dal titolo Xuanniao «L’oscuro uccello». La traduzione è di Fracasso (2013b), p. 48.

[22] Cap. I/III/1L’edizione consultata è Xu Jialu 許嘉璐, An Pingqiu 安平秋 (2004).

[23] La traduzione è di Fracasso (2013b), p. 48.

[24] Si sposa qui la visione dello studioso David Keightley come esposta in Kesner (1991).

[25] Per approfondimenti, si invita alla lettura di Fracasso (2013a).

Riferimenti Bibliografici

Bellec, M. (2016) “La « tigresse » du musée Cernuschi: Mère de lait ou dévoreuse d’hommes ?”. In Ligeia, 145-148, pp. 140 – 143.

Combaz, G. (1945) “Masques et dragons en Asie. La Chine”. In Mélanges chinois et bouddhiques, VII, Institut belge des Hautes Études Chinoises, Bruges.

Fracasso, R. (2013a) “Divinazione e religione nel tardo periodo Shang”. In Tiziana Lippiello, Maurizio Scarpari (a cura di), La Cina: dall’età del Bronzo all’impero Han, vol. 1.2, Torino, Einaudi, pp. 547 – 572.

Fracasso, R. (2013b) “Esordi storici: la dinastia Shang”. In Tiziana Lippiello, Maurizio Scarpari (a cura di), La Cina: dall’età del Bronzo all’impero Han, vol. 1.2, Torino, Einaudi, pp. 39 – 76.

Gilles, B. (2000) Arts de l’Asie au Musée Cernuschi, Parigi, Paris-Musées / Findakly, pp. 36 – 38.

Kesner, L. (1991) “The Taotie Reconsidered: Meanings and Functions of the Shang Theriomorphic Imagery”. In Artibus Asiae, 51.1/2, Artibus Asiae Publishers, p. 244.

Vandermeersch, L. (1980) Wangdao ou la voie royale, Paris, EFEO.

XU Jialu 許嘉璐, AN Pingqiu 安平秋 (a cura di), (2004) Shiji 史記 (Memorie di uno storico), Shanghai, Hanyu da cidian chubanshe, p. 23.

ZHENG, Chantal (1986) “Les structures totémiques de la religion chinoise primitive”. In Revue de l’histoire des religions, 203, No. 2, pp. 121 – 123.

Copertina:

“Vase ‘You’ dit ‘La Tigresse’ (Musée Cernuschi, Paris)” by dalbera is licensed under CC BY 2.0. To view a copy of this license, visit https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/?ref=openverse.

Jessica Matarrese

Referente Sezione Cina. Laureata magistrale in Lingue e Civiltà dell’Asia e dell’Africa Mediterranea presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, è specializzata in Cina antica, la sua più grande passione. In particolar modo, ha un debole per il cinese classico, la filologia, l’antropologia e la storia delle religioni. Si sente una cittadina del mondo, è una gran curiosa e chiacchierona e nutre da sempre una certa predilezione per Hong Kong. Attualmente, continua ad approfondire in autonomia lo studio della cultura cinese utilizzando le sue conoscenze sull’antichità per analizzare e decodificare il presente e, al contempo, abbatterne gli stereotipi e i pregiudizi orientalisti.

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