La comunità sino-cubana: dalle origini ai giorni nostri

di Chiara Paiocchi

Il 28 settembre 1960, Fidel Castro decise di tagliare i rapporti con Taiwan per riconoscere il governo e il potere del partito comunista cinese, sancendo così un rapporto diplomatico e commerciale che continua tuttora. In realtà, le relazioni tra i due territori sono iniziate molto prima rispetto agli avvenimenti del 1960.

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, in Cina vi era una popolazione di oltre 430 milioni di persone, ma il contesto economico, politico e sociale avevano messo a dura prova il Paese. L’inflazione, la Guerra dell’Oppio (1856 – 1860) e l’instabilità generale che regnava da una parte all’altra del territorio, avevano portato ad un alto tasso di disoccupazione. Conoscendo perfettamente le difficoltà e i disordini che la Cina stava affrontando, le potenze europee decisero di non farsi scappare l’opportunità di guadagno. Approfittando della situazione, tra il 1840 e il 1875, circa un milione di cinesi vennero contrattati illegalmente, minacciati o rapiti dalle compagnie commerciali europee per lavorare nelle colonie. Tra questi, circa 150 mila vennero deportati a Cuba,
all’epoca colonia spagnola, per lavorare come schiavi nelle piantagioni (Hincapie, 2010).

Dopo la rivolta di Haiti (1791 – 1805), l’isola cubana era diventata la principale fonte produttiva di zucchero (Hincapie, 2010), ed era considerata quindi una delle colonie più importanti in termini commerciali per il governo spagnolo (Ong, 2017). Temendo che potessero verificarsi delle insurrezioni anche a Cuba, le potenze europee decisero di evitare il problema all’origine: identificando la causa della rivolta ad Haiti nella stessa provenienza degli schiavi (tendenzialmente erano tutti deportati dalle colonie africane), decisero dunque di attingere la manodopera da diversi territori, in modo da ridurre le potenziali alleanze che avrebbero potuto portare ad ulteriori sommosse. La Cina, caratterizzata da una vasta popolazione con lingue ed usanze diverse, rappresentava l’area perfetta su cui concentrare questa nuova strategia (Hincapie 2010).

Dopo un lungo viaggio in condizioni pietose, i cinesi deportati – chiamati coolie (kuli 苦力in cinese mandarino) – avevano l’obbligo di tagliare la lunga treccia, simbolo del potere della dinastia Qing. Immediatamente, venivano poi venduti ai proprietari delle piantagioni come schiavi, lavorando in situazioni precarie e totalmente prive di tutele. In aggiunta, dovevano vivere in capannoni affollati ed erano spesso legati di notte per evitare che fuggissero. L’oppio era un ulteriore strumento utilizzato per prevenire sommosse: non era raro infatti, che gli schiavi fossero pagati con questa sostanza; inducendo assuefazione e dipendenza, i lavoratori difficilmente avrebbero cercato di ribellarsi a chi dava loro ciò che desideravano (Hincapie, 2010).

La liberazione dei coolie, arrivò dopo diverso tempo: nel 1865, la Gran Bretagna denunciò i trafficanti di schiavi spagnoli mentre, in realtà, continuava a deportare indiani e cinesi nelle sue colonie con il pretesto che, a differenza delle altre potenze, i suoi traffici erano regolati da leggi migratorie che limitavano le violenze contro gli schiavi e che invece incitavano il progresso e la libertà delle popolazioni. Dopo la Guerra Civile (1861 – 1865), anche gli Stati Uniti intervennero a favore della Cina, da tempo determinata a far cessare le truffe e i rapimenti legati a questa tratta. La tratta dei coolie venne ufficialmente abolita nel 1874 (Hincapie, 2010), mentre nel 1886 la Spagna sancì ufficialmente la fine della schiavitù nell’isola cubana (Ong, 2017).

Chinatown di Havana, 1958

La presenza cinese a Cuba, non si deve solo al primo flusso di schiavi arrivati sull’isola tramite contratti illegali, sfruttamento e rapimenti. Tra il 1860 e il 1875, si verificò infatti una seconda ondata di cinesi emigrati dalla California che, in cerca di fortuna, si trasferirono sull’isola (Ong 2017). Mentre i primi furono costretti ad arrivare nel nuovo territorio sotto forma di schiavi, i secondi vi arrivarono volontariamente e, da uomini liberi, ebbero la possibilità di esprimere maggiormente le proprie radici culturali e di iniziare anche attività commerciali fiorenti, conferendo un nuovo status alla posizione del sino-cubano (Volpato, 2015). La comunità cinese divenne così progressivamente parte integrante della società cubana, a tal punto da partecipare attivamente ad eventi di grande importanza, tra cui la Guerra d’indipendenza (1895 – 1898) e la Rivoluzione cubana del 1959 (Ong, 2017).

Nonostante molti avessero mantenuto il legame con la cultura cinese, vivere a Cuba aveva indebolito le barriere tra una cultura e l’altra, attenuando le divisioni tra la popolazione autoctona e quella immigrata. Spostandosi a Cuba, i cinesi adottarono nuovi usi e costumi, integrandosi così con il contesto in cui si trovavano e, in parte, “contaminando” la cultura cinese originaria con quella cubana (Volpato, 2015). Quando le relazioni diplomatiche ed economiche tra Repubblica Popolare Cinese e Cuba divennero sempre più strette, il rapporto con la cultura dei propri avi assunse una sfumatura ancora diversa. Come risposta a questo nuovo contesto internazionale, a Cuba vennero infatti rimosse gradualmente le costrizioni sociali che avevano impedito alle nuove generazioni di cinesi nati sull’isola di esprimere il loro legame con la terra d’origine della propria famiglia (Ong, 2017).

Contemporaneamente, si verificò anche un processo opposto: essendo diventati ormai parte integrante della società cubana, col tempo le nuove generazioni nate da immigrati cinesi diffusero e consolidarono le tradizioni delle famiglie con quelle dell’isola, facendo sì che, progressivamente, aspetti della cultura cinese diventassero uno dei tanti elementi di Cuba, caratterizzata tuttora dalla sua multiculturalità. Nonostante vi fosse una cultura autoctona dominante, i nuovi arrivati portarono con loro tradizioni e costumi differenti che, col tempo, si integrarono a tal punto da diventare elementi essenziali per comprendere la società cubana nella sua complessità (Volpato, 2015).

L’influenza cinese, seppur minoritaria rispetto a quella spagnola o africana, si continua a rivedere in molteplici aspetti della cultura popolare cubana, come ad esempio nella cucina – l’utilizzo della salsa di soia e la predilezione per il contrasto dei sapori – e nei culti presenti sull’isola. San Fan Con, personaggio più volte ripreso e riprodotto nelle illustrazioni tradizionali, deriverebbe infatti da Guan Gong 关公, guerriero vissuto tra il 160 e 220 d.C. e celebrato per il suo grande coraggio. Essendo un esempio di forza, diversi immigrati continuarono a praticarne il culto anche a Cuba, come protezione da possibili pericoli in quella terra sconosciuta e lontana. Un ulteriore esempio di influenza cinese sulla cultura locale cubana, è l’introduzione di festività tuttora celebrate. Tra queste, una delle più conosciute è sicuramente quella del Nuovo Anno Lunare1 , tradizionalmente accompagnata da danze tradizionali cinesi e da fuochi d’artificio (Lei, 2021).

Mercato, Havana

L’ influenza della cultura cubana su quella cinese è un altro tema affrontato da diversi studiosi accademici (Zapata-Calle, 2012). Il risultato delle ricerche ha spesso dimostrato come la risposta dei singoli individui con origini cinesi sia diversa, rispetto al contesto in cui sono vissuti e rispetto alla generazione di appartenenza (Ong, 2017). Sarebbe quindi un errore definire rigidamente una teoria fissa e statica rispetto all’influenza tra le due culture e il senso di appartenenza di un individuo rispetto ad una cultura specifica.

Rispetto al passato, oggigiorno è molto più facile rimanere in contatto, o comunque mantenere la conoscenza della famiglia e della cultura dei propri antenati, grazie ad esempio all’uso delle nuove tecnologie (Guo, 2021). Dall’altra parte, mentre le primissime generazioni appena arrivate sull’isola si erano comunque impegnate a mantenere la propria cultura originaria (Lei, 2021), come dimostrato dalle tradizioni importate, l’atteggiamento delle nuove generazioni tende ad essere molto più disomogeneo.

Secondo le teorie dello storico americano Marcus Lee Hansen, l’etnia e l’attaccamento alla terra d’origine potrebbe essere considerata come una forma di religione che, seppur “professata” dalle prime generazioni, viene messa spesso da parte dalle seconde che non vi hanno mai vissuto. Al contrario, le terze generazioni sarebbero quelle più propense a rivendicare il senso di appartenenza alle culture e alle etnie di provenienza. In realtà, la tendenza frequente è quella di creare una visione astratta ed immaginaria della terra d’origine, distaccata dal contesto reale (Ong, 2017).

Gli studi di Larissa Ong mirano proprio a fornire dei chiarimenti sulla realtà socioculturale in cui vivono i sino-cubani delle nuove generazioni, nonché la percezione della loro identità, attraverso l’analisi delle opere d’arte di diversa natura prodotte da artisti dell’isola con origini cinesi. In questo caso, l’arte viene utilizzata come strumento per comprendere la visione sociale e politica dell’artista (Ong, 2017). Secondo Ong, mentre le prime generazioni di artisti erano state scoraggiate a riprodurre nelle loro opere riferimenti alla cultura dei propri avi, con l’ascesa dell’influenza politica ed economica della Repubblica Popolare Cinese a Cuba, più artisti hanno iniziato a rifletterla nelle loro opere (Ong, 2017), seguendo così un processo simile a quello che aveva caratterizzato la diffusione delle tradizioni importate sull’isola (Lei, 2019). Diversi tra gli artisti, avevano infatti escluso riferimenti alla cultura cinese nelle prime opere, per poi inserirli in una seconda fase (Ong, 2017). Mentre in alcuni di essi la ricerca della cultura cinese emerge spontaneamente e come parte integrante della loro opera, nonché della loro espressività e maniera di contemplare il mondo, in altri casi il risultato pare come la ricerca di qualcosa di immaginario e astratto e come una forma di auto-orientalizzazione.
Quest’ultima tendenza, potrebbe originarsi da un’idealizzazione derivata dai racconti passati di generazione in generazione, oppure dalla semplice risposta a delle esigenze del mercato attuale, sempre più proiettato verso la Cina. Inserire tali riferimenti, faciliterebbe infatti l’apprezzamento dell’opera da parte di una grande fetta di possibili acquirenti (Ong, 2016).

Le relazioni diplomatiche ed economiche tra Repubblica Popolare Cinese e Cuba persistono tuttora. Consapevole dell’importanza di mantenere i rapporti con l’isola, il Partito Comunista Cinese ha continuato a sostenerla non solo economicamente con significativi supporti finanziari, ma anche politicamente, appoggiando il governo cubano. Da ciò, si può dedurre che il Partito continui a considerare Cuba come un possibile alleato strategico ed economico anche per gli anni a venire (Hearn, 2016).

Ancora oggi, la comunità cinese è molto forte, in particolar modo L’Avana (Hearn, 2016). Nonostante siano nati da famiglie con origini cinesi, alcuni preferiscono definirsi come cubani mentre altri, pur vivendo sull’isola, ricercano la propria identità nella cultura originaria della famiglia. Dall’altra parte, definire e definirsi come risultato di un’unica tradizione, potrebbe essere un limite, specialmente in un contesto caratterizzato dall’intersezione e dall’incontro di usanze e stimoli provenienti da culture diverse.

Per approfondire: Photographer Sean Alexander Geraghty shares stories from Havana’s Chinatown—once the largest in all of Latin America.

Note

  1. L’inizio del nuovo anno lunare cade dopo il solstizio d’inverno, tra il 21 gennaio e il 20 febbraio.

Bibliografia

  1. Guo, S. (2021), Remagining China diasporas in a transnational world: toward a new research agenda in Journal of Ethnic and Migration Studies, Routledge, Taylor & Francis Group.
  2. Hearn, A. H. (2016), Diaspora and Trust: Cuba, Mexico, and the rise of China, Londra, Duke University Press.
  3. Hincapie, L. M. (2010), Pacific Transactions: Nicolás Tranco Armero and the Chinese coolie trade to Cuba in Journal of Iberian and Latin American Research, Routledge, Taylor & Francis Group.
  4. Lei, C. (2021), Las influencias y huellas de la cultura China en Cuba: 1847-1959, Letras.
  5. Ong, L. (2017), The Chino Cubano complex: Five artists’ strategic self orientalization and reclamation of Chinese identity in Transmodernity: Journal of Peripheral Cultural Production of the Luso-Hispanic World, California Digital Library.
  6. Volpato, T. (2015), La comunidad sino-cubana de Centro Habana. Elementos de historia y cultura en el contexto actual indigene in Visioni Latino Americane.
  7. Zapata-Calle, A. (2012), El mundo de Chen Pan en “Monkey Hunting” de Cristina García: Chinos, Africanos y criollos en la diáspora cubana, Chasqui: revista de literatura latinoamericana, Vol. 41, No. 1, pp. 170-186.

Chiara Paiocchi

Laureata presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia nel corso di Lingue, Economie e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa Mediterranea con specializzazione in Lingua, Società e Istituzioni della Cina contemporanea. La sua tesi di laurea magistrale, basata su delle interviste portate personalmente avanti sul posto, si è focalizzata sulla condizione legale e sociale delle collaboratrici domestiche immigrate ad Hong Kong. I suoi interessi spaziano dagli studi sociali, alle relazioni internazionali e agli studi di genere.

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