di Cesare Torregiani (Contributo esterno Cina)
Pechino esprime chiaramente da molti anni la volontà di emergere nella Storia come una vera e propria potenza navale. Il mare, infrastruttura liquida per eccellenza, rappresenta il nastro trasportatore sul quale la Cina affida il proprio immenso export industriale, che rappresenta da sé il 32% del PIL della nazione (Textor, 2021). Il Mar Cinese Meridionale ed Orientale costituiscono quindi lo spazio vitale del dragone, oltre ad essere il punto di partenza della Nuova Via della Seta, l’iniziativa strategica commerciale con la quale Pechino desidera aumentare il proprio peso geopolitico.
La Cina, tuttavia, non gode di accesso diretto all’alto mare, poiché ad esso si contrappongono l’isola di Taiwan ad Est ed i vari colli di bottiglia (choke points) connessi allo stretto di Malacca a Sud (Torregiani, 2022: 54). L’importanza del pieno controllo degli specchi acquei venne teorizzata già negli anni Ottanta dal comandante dell’Esercito popolare di liberazione Liu Huaqing, tramite la strategia della «difesa dei mari vicini». Egli scrisse chiaramente che un’eventuale ingerenza esterna sarebbe giunta proprio tramite le zone prima citate e, per questo motivo, esercitare il potere marittimo in tali aree avrebbe rappresentato un fattore fondamentale per la sicurezza nazionale (Huaqing, 2004: 432-439). Gli Stati Uniti mirano infatti a indebolire la Cina, loro principale competitor, colpendo la Via della Seta dove essa è più debole, ossia nei passaggi obbligati della giugulare asiatica. Essi tentano quindi di soffocare il dragone e la sua economia relegandoli nelle proprie acque costiere, tramite una guerra ibrida fatta di sanzioni economiche ed influenze politico-militari rivolte ai Paesi ad essa vicini.
Pechino, forte della sua geografia che conta un’estensione costiera di diciottomila chilometri (più di due volte quella dell’Italia), mira a costituire una linea avanzata di isole che possano relegare al di fuori l’influenza americana. Tale strategia viene attuata tramite la creazione di isole artificiali e tramite l’appropriazione degli atolli delle isole Paracelso e Spratly, assieme alla costituzione di un totale di 27 avamposti su di essi (Chan, 2020: 311).

Questi arcipelaghi sono in particolare una serie di scogli affioranti o isolotti che si ergono dal basso fondale, i quali vengono espansi tramite l’utilizzo di navi draga che prelevano materiale sabbioso per poi riversarlo su questi, espandendone così la superficie totale. Il posizionamento di questi atolli e la loro ridotta estensione lasciano presagire un utilizzo prettamente difensivo, ossia essi andrebbero a costituire gli “occhi del dragone” nel Mar Cinese Meridionale, ricorrendo alla costruzione di stazioni di sorveglianza radar costiere ed infrastrutture dedicate alle telecomunicazioni. Tale presa di possesso ha originato un fenomeno, tipico dei mari chiusi quali Mediterraneo e Mar Cinese Meridionale, denominato «territorializzazione del mare», il quale consiste nella progressiva appropriazione esclusiva di spazi che prima ricadevano nell’”alto mare”, e perciò liberamente accessibile a tutti in quanto res communis, tramite un uso distorto del diritto internazionale e della forza militare. L’occupazione di tali isole (o la creazione ex novo) tramite infrastrutture statali e l’uso della forza militare è parte integrante dell’ampia strategia marittima messa in atto da Pechino, oltre a costituire il perno della sempre crescente assertività strisciante cinese (Storey, 1999: 95-118).
La Cina non può contrastare frontalmente la supremazia aerea espressa dalle portaerei americane, le quali trasportano l’equivalente di una Aeronautica militare di un Paese mediamente sviluppato ciascuna, e mira pertanto ad annullare il vantaggio tattico derivante dal possesso di queste. Pechino, infatti, investe le sue risorse nello sviluppo di missili ipersonici o balistici in grado di neutralizzare tali bersagli da una grande distanza, distanza che non consenta la risposta americana. Essi infatti, come per esempio lo Zyrcon russo, volando a velocità di oltre 10.000 km/h (oltre trenta campi di calcio al secondo) non forniscono il tempo necessario per essere rilevati e per mettere in campo un’efficace azione difensiva. Di pari passo la Cina ha sviluppato un missile a traiettoria suborbitale chiamato Dong-Feng 26, da loro soprannominato killer di portaerei. Tali armamenti, qualora dispiegati in posizione avanzata sugli atolli e nei nuovi spazi reclamati a Pechino, andrebbero a costituire una prima linea tramite una bolla impenetrabile per le forze statunitensi, le quali non potrebbero così più influenzare la regione con la sola presenza navale, a costo di poter perdere un assetto da svariati miliardi di dollari. Ciò permetterebbe alla Cina di poter stringere ancora di più la propria presa sui Paesi limitrofi, poiché le portaerei costituiscono il principale deterrente delle pretese nei confronti di Taiwan.
È indubbio che Pechino leghi la propria prosperità, lo sviluppo dell’apparato industriale e commerciale al raggiungimento di un pieno potere navale. L’obiettivo di diventare ben presto una Potenza marittima si evince dalla Proposta per lo sviluppo dell’economia marittima nazionale, avanzata nel 2003, con particolare riguardo alla cantieristica, l’industria ittica ed il settore energetico. Nel Mar Cinese Meridionale e nei suoi arcipelaghi sono presenti numerose risorse petrolifere ed ittiche, e per tale motivo la «territorializzazione» di tali spazi racchiude un profondo valore geostrategico, considerando che la Cina è il primo importatore al mondo di gas naturale liquefatto (Horowitz, 2022).
Pechino mira ad accrescere la propria influenza e la propria proiezione a livello globale. Per fare ciò viene dato grande risalto all’aspetto economico grazie alle iniziative connesse alla Nuova Via della Seta. Il gigante asiatico, forte della sua tradizione e della sua antichissima filosofia, si approccia tramite una dimensione olistica e ad ampio respiro. Mentre Washington introduce il progetto F-35 come collante per mantenere i Paesi alleati nella sua sfera di influenza, programma mastodontico in termini finanziari e limitato al solo ambito militare, Pechino al contrario si muove tramite un’oculata penetrazione economica ed infrastrutturale nei maggiori punti strategici del globo. Essa, infatti, mira a coinvolgere fino a 130 nazioni possibili, utilizzando la rete portuale ed il controllo dei passaggi obbligati per avvantaggiarsi sul maggior numero di mercati possibile.
Il mare si configura quindi come l’elemento decisivo che permetterà l’ascesa del dragone oppure ne segnerà il definitivo declino. Esso è per sua natura un’infrastruttura liquida, punto di incontro tra civiltà e di conseguenza di inevitabile scontro. Solo recentemente il nostro approccio nei suoi confronti è mutato: non più come semplice linea di comunicazione ma come un serbatoio di ricchezze racchiuse nei suoi fondali (prodotti petroliferi) e nella colonna d’acqua (risorse ittiche). In questa gerarchia delle onde, appare ben chiaro che proprio dal mare si originino i fenomeni che hanno portato alla situazione internazionale odierna. Il mare rappresenta pertanto la chiave di lettura per comprendere l’approccio cinese alla politica internazionale e di sicurezza.
Riferimenti Bibliografici
Chan, E.S.Y., (2020), La Cina diventerà una potenza marittima – non un Impero dei mari, in “Limes”, 10, p. 311.
Horowitz, J., Europe could live with less Russian gas. A complete shutdown would be ‘catastrophic’[online]. CNN. [Consultato il 31 gennaio 2022]. Disponibile da: https://cnn.it/3GfCG9u.
Huaqing, L., (2004), Liu Huaqing memoir, Pechino, Pla Press, pp. 432-439.
Storey, I., (1999), Creeping assertiveness: China, the Philippines and the South China Sea dispute, in “Contemporary Southeast Asia”, XXI (1), pp. 95-118.
Textor, C., (2021), 2022 GDP composition in China 2021, by industry, [online]. Statista [Consultato il 31 gennaio 2022]. Disponibile da: https://bit.ly/3oeGz8u
Torregiani, C., (2022). La strategia marittima italiana: il pensiero di Domenico Bonamico ed il futuro dello strumento aeronavale, p. 54.

Cesare Torregiani
Cesare Torregiani è uno studioso di geopolitica e di strategia navale, campi nei quali svolge le sue ricerche ed il suo approfondimento professionale. Dopo aver terminato il Liceo Scientifico presso la Scuola Militare P. Teulié dell’Esercito, frequenta l’Accademia Navale di Livorno conseguendo la laurea magistrale in “Scienze Marittime e Navali” nel 2022, presso l’Università di Pisa, con tesi di laurea dal titolo “La strategia marittima italiana: il pensiero di Domenico Bonamico ed il futuro dello strumento aeronavale”. Attualmente è Ufficiale in servizio della Marina Militare italiana nel corpo dello Stato Maggiore con il grado di Guardiamarina, assegnato all’Aviazione Navale.
Copertina: Eurasian Times