di Ilaria Canali
A seguito della visita della presidente della Camera dei rappresentanti della Casa Bianca Nancy Pelosi nell’isola di Taiwan, il 2-3 agosto 2022, la situazione nel Mar Cinese Meridionale, e nell’area del Pacifico, è diventata molto tesa. L’atto di Pelosi, che ha ignorato le esortazioni del governo cinese ad abbandonare la visita a Taiwan, hanno immediatamente avuto gravi conseguenze, non solo nelle relazioni diplomatiche tra Cina e Stati Uniti ma anche tra Cina e Giappone, il più grande alleato statunitense nella regione Asia-Pacifico che ospita la più grande base militare americana al mondo, con più di 50,000 unità di personale in servizio. La reazione della Cina alla visita di Pelosi non si è fatta attendere e appena dopo la partenza della rappresentante di Stato americana, il governo cinese ha dato inizio ad operazioni militari via mare e via aerea che hanno circondato l’isola di Taiwan, oltre a violare la zona economica esclusiva del Giappone (ZEE) con il lancio di missili balistici da territori cinesi. La provocazione, quindi, non era solo per Taiwan ma anche per il Giappone, che con questa prova di forza a soli 70 km dalle sue coste potrebbe vedersi “costretto” ad aumentare la spesa militare, oltre ad istituire nuovi regolamenti che gli permetterebbero “azioni militari preventive” nel caso in cui la sicurezza nazionale fosse a rischio.
Il messaggio della Cina al Giappone è chiaro: nel caso in cui il Giappone cooperasse con gli Stati Uniti e sostenesse attivamente l’indipendenza di Taiwan, si troverebbe coinvolto in un conflitto a pochi chilometri dalle sue coste. É opportuno considerare che il lancio di missili balistici nella zona economica esclusiva del Giappone accade in un momento decisivo per il governo del primo ministro giapponese Fumio Kishida che ha promesso un aumento della spesa per la difesa, la quale, in maniera non ufficiale, aveva già raggiunto l’1% del PIL pro capite mantenendosi comunque molto al di sotto del 3,7 % del PIL pro capite degli Stati Uniti (la metà di quello richiesto ai paesi NATO). Proponendo un aumento della spesa militare, Kishida prenderebbe in mano l’eredità lasciata dall’ex-primo ministro Shinzo Abe (assassinato a luglio 2022), che, insieme alla fazione più conservatrice del LDP (Partito Liberal-Democratico, attualmente al governo), da diversi anni si batteva per una maggiore autonomia delle forze di autodifesa e per una maggiore spesa militare1.

Le relazioni tra i due paesi si erano quindi subito “raffreddate” appena dopo la visita di Pelosi a Taiwan, quando la Cina aveva annullato l’incontro tra il proprio ministro degli esteri e quello giapponese a causa di una dichiarazione del G7, firmata dal Giappone, in cui si criticava la “prova di forza cinese” nello stretto di Taiwan. Tuttavia, sembra che il dialogo fosse ripreso poco dopo, nella seconda metà di agosto 2022, quando il Consigliere per gli Affari Esteri cinese Yang Jienchi e il Direttore Generale del Segretariato per la Sicurezza Nazionale giapponese Takeo Akiba si sono incontrati per discutere della situazione di tensione attuale tra Cina e Giappone. L’incontro tra Yang e Akiba è segno che il dialogo tra i due paesi, per ora, è ancora presente e dalle parole dei due funzionari sembra ci sia una volontà comune a mantenere stabili le relazioni diplomatiche e la pace nell’area. Più dure e ambigue sembrano essere state, invece, le parole di Yang, il quale ha dichiarato che “il Giappone dovrebbe impegnarsi ad avere una giusta percezione della Cina per uno sviluppo pacifico” delle relazioni tra i due paesi2.
In un articolo pubblicato da The Diplomat3, il 10 agosto 2022, viene delineato un confronto tra la reazione del Giappone nei confronti della Cina, durante la Terza Crisi di Taiwan (1995-1996) e quella attuale (Quarta Crisi di Taiwan). Nell’articolo viene sottolineato come adesso il Giappone sembri più fermo e deciso nelle sue dichiarazioni condannando direttamente le azioni cinesi, cosa che non aveva fatto l’ultima volta prediligendo un approccio più cauto senza dichiarazioni “forti”. Inoltre, nel caso della crisi attuale, sembra che il Giappone abbia fatto il possibile per far aggiungere la questione di Taiwan all’agenda del G7. Infatti, nella “Dichiarazione dei Ministri degli Esteri del G7 sul mantenimento della stabilità e della pace nello stretto di Taiwan” pubblicato il 3 agosto 2022, si dichiara che la Cina non dovrebbe usare la visita di Pelosi come scusa per eventuali attività militari aggressive nello stretto di Taiwan e proponendo, piuttosto, una risoluzione delle controversie per via diplomatica e pacifica. Un’altra differenza con la passata crisi di Taiwan riguarda anche la richiesta del Giappone dell’appoggio di alleati vicini. Infatti, il Giappone ha chiesto il sostegno di altri suoi alleati nel pacifico, in primis Stati Uniti e Australia, con i quali ha pubblicato un joint statement in cui si condannano apertamente le azioni militari cinesi definendole come “promotrici di tensione e destabilizzazione nella regione”4.
In conclusione, attualmente la tensione sembra essere alta, ma il dialogo diplomatico è ancora aperto, sebbene le continue dichiarazioni cinesi sulla rivendicazione di Taiwan come territorio cinese continuino e le esercitazioni militari mantengano il governo di Tokyo sempre sull’attenti. Non resta che attendere e vedere come si evolverà la situazione sperando in una de-escalation delle tensioni.
Per fare il punto: l’importanza di Taiwan
Perché la Cina vuole il controllo di Taiwan? La risposta a questa domanda non è una sola, ma i motivi sono diversi a seconda del punto di vista che si vuole adottare. Nelle sue dichiarazioni, Pechino ha spesso fatto riferimento alla storia che lega i due paesi, usandola come giustificazione per dichiarare la propria rivendicazione sull’isola, ma i veri motivi possono essere altri, puramente strategici e soprattutto economici. Infatti, come si legge nel libro di Giulia Pompili Sotto lo stesso cielo (2021), a Taiwan c’è il cosiddetto “petrolio tech” ovvero la produzione di microchip. Attualmente infatti, Taiwan produce più della metà del fabbisogno mondiale di microchip, fondamentali per qualsiasi tecnologia militare e quotidiana. A seguito di questa considerazione appare più chiaro il perché la Cina stia rivendicando il proprio “diritto” sull’isola: prenderne il pieno controllo significherebbe avere il monopolio di un mercato enorme e diventare una potenza economica ancora più grande di quanto già non sia. Per un maggiore approfondimento sulla questione e una panoramica dei diversi motivi che spingono la Cina a rivendicare Taiwan come propria, si rimanda all’approfondimento della nota n.5.
Note
- Beijing’s Taiwan Aggression Has Backfired in Tokyo
- China, Japan Officials Meet Amid Taiwan Tensions
- The Diplomat è un magazine internazionale pubblicato online, ma con sede a Washington D.C., che si occupa di news riguardanti il mondo della politica, e di aspetti socio-culturali inerenti la regione dell’Indo-Pacifico.
- Japan’s Evolving Approach to the Taiwan Strait – The Diplomat
Per approfondire:
- https://www.geopolitica.info/il-triangolo-tokyo-taipei-pechino-la-questione-di-taiwan-secondo-tokyo/
- https://www.nytimes.com/2022/08/04/world/asia/china-japan-taiwan-missiles.html
- https://www.wsj.com/articles/chinese-missiles-show-japan-lies-in-same-war-zone-as-taiwan-11659699131
- https://mainichi.jp/articles/20220807/k00/00m/030/228000c
- Perchè la Cina vuole Taiwan?, https://www.limesonline.com/rubrica/la-cina-di-xi-vuole-riprendersi-taiwan
Copertina: Copyright Japanese Ministry of Foreign Affairs

Ilaria Canali
Dopo essersi laureata presso l’Università “Ca’ Foscari” di Venezia in Lingua e Cultura Giapponese si è trasferita in Giappone, dove ha appena terminato un Master in Relazioni Internazionali all’Università Ritsumeikan di Kyoto. Attualmente sta conducendo due stage online con due NGO presenti in Giappone. I suoi campi di ricerca comprendono la politica internazionale e il fenomeno delle migrazioni, approfondito nelle sue tesi di laurea, in Europa e in Giappone.