Il rapporto tra l’Occidente e il canone estetico femminile della Cina contemporanea

di Federica Giampaolo

La globalizzazione ha giocato un ruolo fondamentale nella definizione degli standard di bellezza internazionali e contemporanei, fondati su fisionomie caucasiche e ideologie etnocentriche. Non è quindi raro imbattersi nel pregiudizio, etnocentrico per l’appunto, secondo cui i canoni estetici femminili cinesi dipenderebbero dal presunto desiderio di una donna cinese di assomigliare il più possibile ad una occidentale; il che, sebbene effettivamente vi sia una certa influenza da parte dell’Occidente sul concetto di bellezza cinese post-globalizzazione, è in realtà impossibile da attestare (Hua, 2013). Un primo esempio di questa concezione erronea riguarda l’ipotetica necessità delle donne cinesi di schiarire la propria pelle sulla base di un’attrazione per la “bianchezza” occidentale. Tale standard, in realtà, è riscontrabile in varie rappresentazioni femminili sin dall’impero ed ha natura sociale. Infatti, la carnagione scura era tipica dei contadini, che lavorando le terre, si esponevano prolungatamente ai raggi del sole. Di conseguenza, la pelle scura venne associata alla rozzezza e alla sporcizia. L’aristocrazia, invece, si differenziava per una pelle più chiara, dato lo stile di vita completamente diverso rispetto a quello delle classi più povere.

Nelle raffigurazioni artistiche, difatti, le tipiche bellezze femminili di allora presentavano una carnagione simile. Prima della piena introduzione dell’immaginario occidentale attraverso la letteratura, le caratteristiche fisiche “bianche” quali l’alta statura, i capelli biondi, occhi chiari, e un viso pallido erano descritte nelle opere siniche e nipponiche come peculiarità mostruose e spaventose. Una volta introdotta la letteratura d’Occidente nel XIX secolo, l’estetica dei Paesi europei o nordamericani venne normalizzata ed ammirata dai letterati o da chi poteva accedere facilmente ad opere di letteratura straniera. Essi erano, di fatto, coloro che appartenevano ad un ambiente sociale più alto o benestante, e che rispecchiavano lo standard di allora: una pelle chiara ed un fisico abbastanza esile. Tale ideale di bellezza, dunque, non solo precede l’introduzione contemporanea dello standard occidentale ma implica una rilevanza di natura sociale (Cho, 2012). Il vero e proprio approccio ai gusti estetici occidentali vi fu nel primo periodo repubblicano (1911 – 1949) con le importazioni dei prodotti occidentali (abiti, accessori, cosmesi) e l’introduzione della chirurgia plastica. Successivamente, durante il periodo maoista (1949 – 1979), la cura di sé e/o della “femminilità” vennero considerate come mera vanità borghese: l’espressione di sé attraverso l’aspetto fisico era fermamente condannata. Con l’avvento del governo denghista (1979 – 1989) iniziò un processo di liberalizzazione economica che pose fine alla repressione precedente, permettendo ai cittadini cinesi di dare sfogo alla propria creatività attraverso abiti e acconciature importate dall’Occidente.

L’apertura economica travolse la Cina con prodotti occidentali di ogni tipo, in particolare quelli statunitensi. Questi ultimi riguardavano principalmente l’ambito estetico ed hanno favorito lo sviluppo della cosiddetta meinü jingji 美女经济 «beauty economy» ovvero la capitalizzazione della bellezza, in particolare femminile. Ad enfatizzare il consumo di prodotti simili furono le nuove condizioni sociali che, grazie al boom economico favorito dalla liberalizzazione economica spinsero i cittadini a ricercare una vita più agiata e dedita al soddisfacimento personale. I mass media ebbero, e tutt’oggi hanno, un ruolo altrettanto rilevante nel definire tale fenomeno economico e la piena diffusione dell’immaginario estetico occidentale, come ad esempio in trasmissioni televisive riguardanti trasformazioni da “brutti anatroccoli” in “bellissimi cigni” (Hua, 2013). Contenuti basati sul canone occidentale e riviste di moda hanno a loro volta adottato i gusti estetici esteri affinché si potessero promuovere e commercializzare i propri prodotti all’estero, rafforzando ulteriormente la “bianchezza” come standard di bellezza (Chen, 2021).

Lo sviluppo di una cultura consumistica ha cambiato notevolmente la mentalità dei cittadini, inglobandoli quotidianamente in un flusso incessante di immagini, discorsi e simboli. Quest’ultimi appartengono all’industria della cultura di massa caratterizzata principalmente da un’estetica statunitense come quella di Hollywood o MTV (Sima, 2010). Nonostante lo standard ideale tipico occidentale venga raffigurato da fisici alti e prosperosi mentre quello cinese prediliga una pelle chiara ed un fisico minuto, vi sono delle caratteristiche comuni: occhi grandi e con palpebra doppia, volto simmetrico e pelle bianca. Per comprendere il motivo per cui la causa di questa comunanza di elementi non vada ricercata in un’omogeneità dovuta alla globalizzazione, è utile prendere in esame gli studi incentrati sulla chirurgia plastica. Quest’ultima rappresenta una gran fetta dei guadagni dell’«economia della bellezza» in Asia orientale e può essere di grande aiuto nel definire la percezione di sé delle giovani donne. Di fatto, nell’esporre le motivazioni dietro le quali ci si sottopone ad interventi chirurgici, lo standard di bellezza occidentale viene preso raramente in considerazione. Molte donne ritengono che desiderare una fisionomia occidentale sia impossibile, qualsiasi tratto deve necessariamente essere adattato a caratteristiche cinesi perché vi sono molte differenze nella predisposizione fisica. La bellezza estera viene apprezzata in quanto bellezza “esotica” o “unica” (Hua, 2013). In uno studio di Zhang Meng del 2012, le ragazze intervistate confermano la possibilità che le celebrità occidentali abbiano influenzato la percezione del proprio corpo, ma aggiungono che tale influenza sia limitata dalle differenze fisiche, inadatte a fungere da canone estetico nazionale. Ciò che affascina loro è il glamour che viene rappresentato nell’immaginario occidentale e successivamente ripreso dai prodotti mediatici, dato che tra i principali motivi dietro la popolarità della beauty economy vi è la necessità della nuova società consumistica di ricercare una vita più agiata. Gli studi che riscontrano un disagio verso il proprio corpo in rapporto ad un aspetto più “occidentale” si concentrano su donne sino-americane, di seconda generazione o immigrate, che provano tale disagio a causa della loro condizione diasporica nel territorio statunitense. Tuttavia, la propria condizione si differenzia da quella delle donne appartenenti alla Cina continentale, che vivono un rapporto più distaccato con la cultura occidentale (Chen, 2021).

La crescita economica della Cina ha, infatti, aumentato il reddito cittadino, incluso quelle delle donne. Avendo maggiori possibilità di guadagno, esse hanno raggiunto uno status sociale più alto, che ha permesso loro di condurre una vita più agiata. La definizione del canone estetico scaturisce da valori sociali che determinano il ruolo della donna, convincendo quest’ultima che raggiungere l’ideale estetico vigente sia necessario. La società cinese contemporanea ha così posto l’enfasi sulla ricerca della bellezza attraverso la concezione secondo la quale avere un bell’aspetto fisico possa migliorare la vita delle donne, consentendo loro non solo di trovare marito e/o un buon lavoro, ma anche di sentirsi parte della società. Ad esempio, nonostante vi sia la possibilità che una donna non apprezzi particolarmente una pelle chiara, «pur di fare carriera o trovare un partner, sarebbe disposta a provare una crema sbiancante» (Chen, 2021: 6-7). Di conseguenza, la propensione di una donna ad acquistare prodotti di bellezza o sottoporsi ad interventi chirurgici non solo migliora la loro bellezza esteriore, ma fornisce anche un’illusione di privilegio, azione e mobilità sociale. Nonostante la massiccia diffusione di prodotti commerciali occidentali, l’influenza che si crede abbiano avuto non è dunque stata poi così forte e definita. Con il passare del tempo, il contatto con l’Occidente ha risvegliato sempre di più un sentimento nazionalista di ritorno alla tradizione che ha spinto la gioventù cinese a non usufruire più di qualsiasi prodotto filo-inglese o filo-statunitense bensì a rivisitarlo secondo i gusti e la cultura cinese (Hua, 2013). L’esteta Zhang Xiaomei sostiene che una mentalità aperta cinese debba mantenere contemporaneamente due standard: uno tradizionale che mantenga viva la cultura nazionale ed un altro influenzato dagli standard occidentali di bellezza perché, come si suol dire: zhiyou minzu de, cai shi shijie de 只有民族的,才是世界的 «solo il nazionale può divenire internazionale» (Hua Wen, 2013: 203). Secondo Zhang (2005) la globalizzazione non rappresenta omogeneità, bensì un processo che insegna ad accettare e prendere il meglio dalle differenze.

Chinese model Lu Yan and actress Zhao Wei (right) – Freckle ad sparks beauty standards debate

Nonostante l’influenza dello standard occidentale risulti più di “facciata”, lo studio e l’accettazione di un punto di vista non-sinico sul concetto di bellezza si collega anche a ragioni politiche. Secondo Wen Hua (2013), il contatto con l’Occidente e l’assimilazione di alcune sue caratteristiche culturali non scaturiscono da una necessità di assomigliare allo straniero, bensì di potersi migliorare e contrapporre ad esso con l’obiettivo di migliorare il Paese. La società cinese sembra aver assimilato l’approccio pragmatico introdotto da Deng in svariati ambiti: si diventa belle per ragioni pragmatiche (trovare impiego o un marito, ecc.) e i concetti o le peculiarità straniere possono essere assimilate ma vanno adattate secondo «caratteristiche cinesi». Non ci sono dubbi che gli ideali occidentali si siano espansi in lungo e in largo a causa della globalizzazione, ma la percezione cinese degli standard di bellezza non è necessariamente simbolo di un processo di “occidentalizzazione”. Ciò che ne risulta è una natura “ibrida” del canone estetico odierno (Hua, 2013).

Bibliografia

  1. Cho Kyo, Selden Kyoko Iriye. (2012). The Search for the Beautiful Woman: A Cultural History of Japanese and Chinese Beauty, Lanham: Rowman & Littlefield Pub Inc.
  2. Hua Wen. (2013). Buying Beauty: Cosmetic Surgery in China, Hong Kong: Hong Kong University Press
  3. Sima Yangzi, Pugsley Peter C. (2010). The Rise of A “Me Culture” in Postsocialist China: Youth, Individualism and Identity Creation in the Blogosphere in International Communication Gazette vol.72 n.3, p. 287-306 
  4. Zhang Meng. (2012). A Chinese beauty story: how college women in China negotiate beauty, body image and mass media in Chinese Journal of Communications vol. 5, p.437-454   

Sitografia

  1. Chen Melody. (2021). The Racializing of Beauty: The Rise of Western Beauty Norms and Self-Esteem Among Asian Women in Antiracism and Justice vol. 12 [online] [Consultato il: 5 aprile 2022] Disponibile da: https://openjournals.neu.edu/nuwriting/home/article/view/217

Federica Giampaolo

Federica Giampaolo ha terminato nel 2022 gli studi del corso magistrale in Lingue e culture dell’Asia e dell’Africa presso l’Università degli di Studi di Napoli L’Orientale, ateneo dove ha già conseguito il titolo triennale nel 2020. È risultata borsista per corsi intensivi di lingua presso la Shanghai International Studies University nel 2015 e presso la Guangdong University of Foreign Studies nel 2021. La sua tesi triennale ha affrontato il tema della censura nei confronti dei fenomeni virali incentrandosi sul caso di censura di alcune adolescenti che documentavano via web la loro gravidanza, fenomeno considerato dal governo “una cattiva influenza” per i giovani e simbolo di “promiscuità femminile”. La tesi magistrale ricerca invece una definizione dello standard di bellezza femminile attraverso l’analisi dei contenuti della piattaforma streaming bilibili e della percezione del canone estetico da parte delle donne. Il suo campo di studio unisce l’importante ruolo dei mass media nella Cina contemporanea e gli studi di genere.

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